La Nuova Sardegna

La nuova vita di Donna ricca

Sassari, il colosso lombardo dell’energia riapre i cancelli dell’azienda agricola chiusa

di Giovanni Bua

	L'azienda agricola prima della chiusura 
L'azienda agricola prima della chiusura 

Notizia chiaroscura che ben descrive il complesso momento che sta vivendo il territorio della Nurra

23 agosto 2024
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Sassari La A2A, colosso lombardo dell’energia green, riapre i cancelli dell’azienda agricola “Donna Ricca” posta nel cuore della Nurra vicino alla borgata di La Corte nel comune di Sassari, chiusa da tempo e finita all’asta dopo una crisi ultradecennale. Una notizia “chiaroscura” che ben descrive il complesso (e pericoloso) momento che sta vivendo la Nurra, una delle poche vaste pianure dell’isola, bonificata con grandi sforzi e a più riprese, prima nell’età moderna, poi negli anni Trenta e infine nel secondo dopoguerra, che fa i conti con tutte le difficoltà che il settore affronta da tempo, tra siccità periodiche, concorrenza estera e aumento dei costi.

Piana sottoposta a un vero e proprio assalto delle multinazionali dell’energia green: ben 68 progetti presentati, quasi tutti ricadenti nel territorio comunale di Sassari, con una produzione prevista di 6,2 GW, che sarebbe pari alla quota assegnata dal governo nazionale all’intera Sardegna. Che rischia, se i progetti andassero in porto: «La progressiva sostituzione del tradizionale paesaggio agricolo caratteristico della zona, con un paesaggio industriale». «Il problema esiste – sottolinea il presidente del consorzio di Bonifica della Nurra e di Anbi Sardegna Gavino Zirattu– è comune a tutta l’isola e deriva dal quadro normativo. Non c’è una legge che ha governato i processi e vista la vocazione della Sardegna per solare ed eolico l’assalto è arrivato inevitabile. Bisogna però dire le cose come stanno. La vocazione agricola della Nurra è infatti in grande crisi da tempo. E proprio la storia di Donna Ricca lo dimostra. Il punto non è impedire qualsiasi progetto legato all’energia green, ma regolamentarlo in modo che siano proprio questi progetti, limitati, a garantire la sopravvivenza delle coltivazioni storiche del territorio. Altrimenti è impossibile chiedere a produttori che vivono una drammatica crisi di rinunciare a una fonte di reddito in nome della tutela di qualcosa che da tempo non esiste più».

Ed effettivamente la storia di Donna Ricca è esemplare. Di proprietà della famiglia Rossi, azienda modello di 415 ettari interamente in pianura e completamente irrigati dalle condotte del Consorzio di Bonifica della Nurra, a partire dagli anni ’70 e fino ai primi del 2000 era la maggiore costituente e conferente della Coapla, marchio di latte e yogurt che i sassaresi ben conoscono e che nel 2002 è stata incorporato dalla 3A trasferendo le sue produzioni ad Arborea.

In quegli anni a Donna Ricca si allevavano oltre 700 vacche da latte, lavoravano oltre 80 persone, oltre a un importante indotto, e l’azienda era diventata importante punto di riferimento sia per il mondo accademico (veniva costantemente visitata dagli studenti delle facoltà universitarie di Veterinaria dove Giancarlo Rossi era docente, e Agraria) sia per gli allevatori. Poi la crisi iniziata con il trasferimento della Coapla da Arborea, i Rossi che abbandonano l’allevamento praticando solamente agricoltura estensiva con coltivazioni di mais e cereali.

Il tentativo di salvare i conti nel 2011 investendo nell’energia green del tempo, con la creazione del primo “biodigestore” (e anche l’unico rimasto in attività dei 4 aperti negli anni nella Nurra) in collaborazione con la Maccaferri per produrre energia con la trasformazione anaeroboica di sottoprodotti agricoli in gas. Tentativo che non basta a salvare i conti di “Donna Ricca”, con A2A che nel 2020 attraverso la controllata Linea Group Holding, si aggiudica all’asta la società Agripower che gestiva lo sviluppo e la gestione di tutti i 18 impianti di generazione elettrica da biogas distribuiti in 9 regioni, tra cui quello della Nurra. Poi l’ultimo atto, con Donna Ricca che chiude e finisce anch’essa all’asta e la stessa A2A che la rileva, dopo un paio di chiamate a vuoto, per riprendere la coltivazione delle biomasse necessarie a far funzionare l’impianto.

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