La Nuova Sardegna

L’intervento

«In Sardegna più gas serra in Italia per abitante, serve una strategia sull’energia»

di Alessandro Lanza

	Alessandro Lanza 
Alessandro Lanza 

Il direttore esecutivo della Fondazione Enrico Mattei: «La presidente Todde spieghi come intende ridurre le emissioni»

24 agosto 2024
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«Risulta particolarmente complesso perché il ruolo che ci compete - di analista ed esperto dei sistemi energetici - viene a cozzare con i nodi della politica dell’isola e con un intreccio ormai indistricabile tra lobbisti vecchi e nuovi che, complice la loro influenza sul mercato dell’informazione, finiscono per alimentare un esercito di anime belle che loro malgrado fanno da cassa di risonanza alla difesa di posizioni spesso assai poco commendevoli. Vale la pena forse iniziare con qualche numero incontrovertibile: il bilancio del settore elettrico nel 2022 in Sardegna, come si desume dai dati ufficiali forniti da Terna. La domanda complessiva di energia elettrica è pari a 8,9 terawattora (cioè 8,9 milioni di megawattora), con un’offerta di 12,04 terawattora che viene assicurata da fonti fossili (termica) per 9, da idroelettrico per 0,4 e dalle fonti rinnovabili per 3 terawattora. Risulta evidente dunque un eccesso di offerta che, in termini percentuali, è pari al 39,3%, numero che può sembrare eccessivo se non si tiene conto che l’insularità richiede una certa quota di riserva.

Non bisogna nemmeno trascurare il fatto che l’isola ha visto crollare la domanda per uso industriale (e dunque veder crescere il differenziale domanda/offerta). La domanda elettrica della regione Sardegna ha infatti registrato un continuo aumento nel corso degli ultimi decenni, interrompendosi solo con la crisi economica del 2008. Negli anni successivi al 2012 i consumi elettrici della regione hanno inoltre registrato un importante calo a seguito della chiusura dell’impianto ex Alcoa produttore di alluminio primario a Portovesme, che da solo rappresentava il 20% circa dei consumi elettrici finali dell’intera regione. L’energia termoelettrica, che rappresenta da sola il 101% della domanda, si produce in tre siti fondamentali. Sarlux, situata presso la raffineria Saras che utilizza un residuo della produzione dei prodotti di raffinazione chiamato TAR gas.

La produzione lorda di energia elettrica proveniente dalla Saras è stata pari a 4,2 terawattora nel 2022. La raffineria Sarlux, all’interno del sito industriale di Sarroch sulla costa a sud-ovest di Cagliari, è una delle più grandi del Mediterraneo per capacità produttiva e per complessità degli impianti. Con una capacità di lavorazione di 300 mila barili al giorno, contribuisce per circa il 20% alla capacità di raffinazione italiana. La centrale elettrica a ciclo combinato IGCC è integrata con gli impianti di raffinazione e ha una potenza installata di 575 MW. Questa centrale ha prodotto il 42% al fabbisogno elettrico della Sardegna. Il resto – pari a 4,2 terawattora – è una produzione che deriva da carbone e comprende due centrali: la centrale Grazia Deledda di Portovesme e la centrale Ep di Fiumesanto.

Tutto ciò premesso, è necessario da parte di tutti uno sforzo per riportare la discussione su binari di un confronto politico serrato, ma serio, che parta da elementi veri e non da propaganda. La prima domanda che dobbiamo farci è questa. La Sardegna è la regione che produce più emissioni di gas serra per abitante. Con 12,11 tonnellate per abitante, la Sardegna supera ampiamente le altre regioni, quali il Friuli Venezia Giulia (9,99), la Puglia (9,6) e l'Emilia Romagna (8,98). Per questa ragione si è sostenuta in più occasioni la necessità dell’uscita dal carbone nella produzione elettrica. La domanda cui tutti sono chiamati a rispondere è semplice: quando i 9 terawattora prodotti con fonti fossili non ci saranno più (ipotesi che ai miei occhi appare molto remota) come verranno sostituiti? Dico molto remota perché tra i mestatori di disinformazione non mancano quelli che parlano più o meno apertamente di “rilancio” del carbone Sulcis, argomento che in un’area economicamente depressa trova sempre paladini dell’ultima ora pronti a difenderlo. Chi, come la nostra Governatrice, sostiene che sia necessario porre “un argine all’assalto delle multinazionali che in questi anni hanno invaso i comuni sardi con richieste di autorizzazione…”, dovrebbe anche spiegare come e se intende ridurre le emissioni di anidride carbonica, conclamata causa del cambiamento climatico. In questo buio assoluto non ci sono che progetti fumosi su idrogeno e affini, ben sapendo che per produrre idrogeno sono necessari energia elettrica o metano, due elementi di cui la Sardegna manca. Il punto rimane: volete smettere di produrre energia elettrica dal carbone? Se sì, viene la domanda successiva: con cosa la si sostituisce? Energia nucleare? Energia da Rinnovabili?

Se la risposta a quest’ultima domanda fosse positiva allora, a cascata, si deve avere chiaro che le rinnovabili hanno caratteristiche tali da richiedere un forte sistema di accumuli, una robusta rete di distribuzione e trasmissione adeguata a sostenerle e favorire il bilanciamento del sistema. Naturalmente ci sono anche elementi di critica dell’azione pubblica che andrebbero chiariti e meglio esplorati. I terreni su cui andrebbero a incidere i futuri parchi eolici non vanno espropriati ai proprietari, ma lasciati alla logica del mercato in una dialettica aperta di domanda e offerta tra proprietari dei terreni e futuri compratori/affittuari. Il mercato aperto fa sempre il prezzo migliore. E richiedere un’autorizzazione è nel pieno diritto di un’azienda.

È necessario creare un meccanismo di garanzie reali (fideiussioni, ad esempio) per essere certi che, nel momento in cui si decida di dismettere quelle strutture, ci siano le risorse per farlo. Le comunità locali devono essere protagoniste, e se un proprietario decide di non vendere/affittare il proprio terreno è nell’assoluto diritto di farlo, perché ha forse valutato di spuntare un prezzo migliore. Non si fa politica industriale a colpi di espropri. Dobbiamo cambiare linguaggio. Chiamare le aziende che operano sul mercato “speculatori cinesi” oltre che razzista è fuorviante: sono imprese che investono le loro risorse economiche e sperano in un adeguato ritorno. Tutto qui.

L’approccio autorizzativo dovrebbe cambiare: non essere più incentrato solo ed esclusivamente sugli impatti ambientali e paesaggistici, ma basato anche su quelli economico/finanziari (due diligence piano economico e finanziario volta ad accertare la redditività dell’investimento, capitalizzazione del proponente in rapporto agli investimenti da sostenere, definizione delle fideiussioni e/o dei canoni da pagare (come in Scozia e in Francia), etc…). Questo aiuterebbe a ridurre la platea degli investitori, lasciando in campo solo quelli più “solidi” con i quali si potrebbe avviare un confronto di tipo “partecipativo”. La strada è ancora molto lunga e necessita di due elementi che in questo momento non vedo: conoscenza diffusa della questione, senza pregiudizi e senza visioni preconcette. Le università sarde – giusto per dare un esempio – sono piene di persone che conoscono il tema e possono dare un contributo libero e onesto. Basta cercarli, possiamo garantire che ci sono. E dobbiamo anche raffreddare questa dinamica preconcetta e sbagliata del “sardo sotto assedio”, ovvero del sardo “ce l’hanno con noi”. Nessuno ce l’ha con noi. Il destino è nelle nostre mani se sapremo leggerlo con onestà, agire con coscienza e conoscenza. Tenere fuori i mercanti di ogni specie dal Tempio aiuterebbe»

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