La Nuova Sardegna

L’intervista

Condanna in Vaticano, monsignor Angelo Becciu: «E’ una vendetta contro di me, la verità emergerà»

di Silvia Sanna
Condanna in Vaticano, monsignor Angelo Becciu: «E’ una vendetta contro di me, la verità emergerà»

Al cardinale in primo grado inflitti 5 anni e 6 mesi: «I colpevoli verranno fuori, la storia sarà implacabile». «Il mio rapporto con il Papa è come quello di un figlio allontanato dal padre ingiustamente»

31 agosto 2024
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Sereno «come chi ha la coscienza pulita». Ma sempre più perplesso rispetto al verdetto dei giudici «e alle accuse false che mi sono state mosse». E convinto di essere vittima di una vendetta messa in atto da parte di qualcuno «che non ha esitato a servirsi persino del Papa». Il cardinale Angelino Becciu, in questi giorni nell’isola, racconta la sua verità «quella che, ne sono certo, verrà fuori».

Cardinale Becciu, in questi giorni lei è a Pattada, nel suo paese, nella sua terra. Cosa ha rappresentato per lei la Sardegna in questo periodo così difficile?

«Sì, giovedì 29 agosto, sono venuto qui a Pattada per presiedere la messa solenne in onore di Santa Sabina, la patrona della nostra parrocchia. Il contatto con la mia gente mi rigenera, respiro l’aria della fede genuina, mi conforta il loro calore umano. Non mi hanno mai lasciato solo e non hanno mai smesso di credere nella mia onestà. È tonificante anche il contatto con i sacerdoti della diocesi e con il Vescovo Melis che con dinamismo e saggezza guida la comunità. Devo riconoscere che tutta la Sardegna in questi difficili anni mi è stata vicina, con numerosi attestati di stima e di sincera solidarietà».

Dallo scorso dicembre grava su di lei una condanna a 5 anni e 6 mesi emessa dal Tribunale Vaticano. Come ha vissuto tutti questi mesi?

«Vuole sapere una cosa? In questi giorni di vacanze mi sono totalmente dimenticato di questa condanna. La mia coscienza è così pulita che non mi sono lasciato condizionare da quello che reputo una vera ingiustizia, una sentenza che non ha fotografato la realtà dei fatti. Più passa il tempo più tutto mi sembra surreale».

Il Tribunale dello Stato del Vaticano l’ha ritenuta colpevole di peculato e di truffa aggravata. Come intende ribaltare queste accuse nel processo di appello?

«Intanto siamo in attesa della fissazione della data del processo di appello. Sono passati più di 8 mesi dall’emissione della sentenza e ancora non sono state depositate le motivazioni. Mi dicono si tratti di un tempo straordinariamente lungo e non in linea con quanto avviene negli altri sistemi giudiziari. Mi spiace, ma in questo modo si rischia di compromettere ancora di più la credibilità del Processo e della stessa istituzione del Vaticano! Il tempo terreno è limitato. Non si può far languire in un’attesa smisurata chi ha diritto alla giustizia e alla verità».

E circa le condanne per peculato e truffa aggravata cosa risponde?

«I miei avvocati sapranno come difendermi e devo dire che lo hanno già fatto in primo grado facendo emergere come andarono realmente le cose… Ecco perché dico che la sentenza non ha fotografato quanto emerso nel corso del processo. Mi condannano per peculato, ma è un peculato alquanto strano perché non ho mai preso un soldo e mai mi hanno accusato di essermi impossessato di un centesimo. Che peculato è mai questo? Mi condannano per truffa aggravata. Quando? Contro chi? Addirittura dicono che avrei truffato il Papa! Accusa più infangante di questa non mi poteva essere fatta e la respingo con sdegno. Vi è la mia vita a dire il contrario. Ho servito la Chiesa con devozione assoluta in ogni angolo del mondo, altro che truffa. Sono certo che lo stesso Santo Padre non crede a queste accuse infondate».

Lei si è sempre proclamato innocente e si era detto fiducioso in una sentenza di assoluzione. Perché secondo lei il tribunale non le ha creduto?

«Continuo a proclamarmi innocente e lo farò fino all’ultimo giorno della mia vita, anche dovessero condannarmi in Appello. Io non ho commesso nessuno di quei reati di cui sono stato accusato. Perché il Tribunale non mi ha creduto? Sono io che chiedo al Tribunale perché non ha tenuto conto delle testimonianze a mio favore, dei documenti che annullavano le accuse. Chiedo perché non ha obbligato il Promotore di Giustizia a mettere a disposizione della Difesa tutta la documentazione in suo possesso e soprattutto le 100 chat da lui omissate che davano conto di cosa si muoveva alle mie spalle. Chiedo al Tribunale perché non è andato a fondo nel chiarire le dichiarazioni fatte dalle due signore istigatrici di Monsignor Perlasca, che il processo ha dimostrato hanno tramato contro di me».

Ha detto che il suo processo è stato ingiusto, si sente vittima di un complotto ? Pensa che la sua vicinanza al Santo Padre desse fastidio a qualcuno? Da chi si è sentito tradito?

«Sull’esistenza del complotto ho appena detto prima. Il processo lo ha dimostrato, non è più una mia idea. Sul perché esso sia stato ordito e chi siano tutti i protagonisti è da chiarire, ma prima o poi la verità emergerà. La Storia sarà implacabile. È davvero incredibile il male fatto non solo a me e alla mia famiglia, ma alla stessa Chiesa. Se sfuggiranno al potere giudiziario immediato, non potranno sfuggire al giudizio severo della Storia coloro che per mettere in atto uno scellerato piano vendicativo contro di me si sono serviti addirittura del Papa e hanno messo a soqquadro la Santa Sede».

Sul famoso palazzo di Londra, da cui è partito il processo, lei ha dichiarato che l’investimento – 200 milioni dal patrimonio della Segreteria di Stato – era stato giudicato conveniente. Dunque lei è stato mal consigliato? Se sì, da chi?

«Anzitutto preciso che chi aveva dato l’autorizzazione a investire i 200 milioni è stato l’allora Segretario di Stato, Cardinale Bertone. Ma sia quella decisione come quella di fare l’investimento specifico sul Palazzo di Londra fu presa in base alle proposte studiate e sostenute dall’ufficio della Segreteria di Stato che si occupava di investimenti e di cui era responsabile Monsignor Perlasca. Il dossier presentava conveniente e vantaggioso l’investimento nel fondo del Palazzo di Londra per la Segreteria di Stato. Non ebbi dubbi sull’assoluta convenienza dell’operazione né mai nessuno mi informò in ordine a possibili criticità connesse all’investimento».

È giusto che la Chiesa faccia operazioni immobiliari di questo tipo?

«La Chiesa ha sempre investito. La Santa Sede, o se vuole il Vaticano, sin dalla firma del Concordato, nel 1929, ha sempre investito “nel mattone” soprattutto a Londra, Parigi, Roma. Gli investimenti non si fanno per trarne vantaggi personali - certamente io non ne ho avuti! -, ma per consentire alla Santa Sede di operare e diffondere il proprio messaggio nel mondo».

Torniamo al Processo. Secondo il Tribunale lei ha favorito economicamente suo fratello trasferendo 125 mila euro attraverso la Diocesi di Ozieri. Dove sono quei soldi e a che cosa erano destinati?

«È una falsità. Per l’ennesima volta devo ribadire che quei soldi non sono stati inviati a mio fratello, ma alla Caritas di Ozieri. Mio fratello non li ha mai toccati e tanto meno ne ha avuto alcun vantaggio personale. I suoi conti bancari, controllati dagli inquirenti, sono puliti, tant’è che non gli è stata fatta alcuna contestazione. Devo ricordare che i 25 mila euro spediti nel 2014 sono serviti a pagare una fattura per l’acquisto di una macchina del panificio della Cooperativa Spes – che dava e dà lavoro a numerosi svantaggiati - e i 100 mila spediti nel 2018 sono ancora fermi nel conto della Caritas per la costruzione, secondo la decisione del vescovo, di un centro di aggregazione di attività solidali. Lo ha sempre confermato il vescovo di Ozieri e, a più riprese, lo stesso Monsignor Perlasca nel tribunale ha perentoriamente dichiarato che quella somma fu inviata alla Caritas di Ozieri, non alla Cooperativa e meno che mai a mio fratello. L’accusa è totalmente falsa. Mio fratello non ha avuto vantaggi né da quei soldi né dalla cooperativa. Non ha uno stipendio e vive della sua pensione. Il giorno che lascerà la presidenza della Cooperativa porterà con sé soltanto il sorriso e il grazie di tanta gente beneficata».

Come mai si è parlato tanto di questa somma di danaro? La sua diocesi è stata l’unica ad essere beneficiata dal fondo dell'Obolo di San Pietro?

«È sconvolgente che di questa donazione se ne sia fatto un caso mondiale, come se avessi inviato una somma astronomica e come se fosse stata l’unica erogazione che abbia fatto nei miei sette anni di Sostituto. E invece ogni anno dai fondi caritativi della Segreteria di Stato inviavamo decine di sussidi per finanziare opere sociali in tutto il mondo. Non ho poi compreso perché gli inquirenti vaticani abbiano preso di mira solo la donazione alla mia diocesi e abbiano sorvolato su altre anche di maggiore entità e destinate direttamente a Cooperative private, senza neppure passare per il Vescovo. Certi malevoli dubbi sono legittimi!»

Dopo la condanna ha incontrato il Papa? I suoi sentimenti sono cambiati?

«Sì, l’ho incontrato e gli ho detto con tutta sincerità e con fermezza che sono innocente, che le sentenze contro di me sono basate sul nulla. Il mio rapporto con il Papa è come quello di un figlio che si sente ingiustamente allontanato dal padre per accuse false. Il mio impegno sarà quello dimostrargli in tutti i modi e con tutti i mezzi l’infondatezza di quelle accuse. Lo farò anche pubblicamente perché pure i fratelli nella fede, rimasti scandalizzati dalla mia vicenda, devono conoscere la verità dei fatti. Chi ha la coscienza pulita come me non può temere la verità».

Cardinale Becciu, ha paura di andare in carcere?

«Ieri l’altro nel presentare il martirio di Santa Sabina, nell’omelia, ho ricordato che i primi martiri cristiani andavano al patibolo cantando perché non avevano paura né del giudizio degli uomini né della morte. Qualora confermassero la mia condanna al carcere non andrò cantando, ma sereno perché ho la coscienza pulita. Altri non avranno sonni tranquilli perché terranno sulla coscienza il peso di aver voluto o di aver permesso la condanna di un innocente».

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