La Nuova Sardegna

La strage di Nuoro

La confidenza di Giusi Massetti: «Sono stanca di lui, vorrei stare da sola»

di Valeria Gianoglio
La confidenza di Giusi Massetti: «Sono stanca di lui, vorrei stare da sola»

Davanti la coppia felice, dietro l’idea di separarsi. Roberto Gleboni aveva pianificato l’esecuzione

27 settembre 2024
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Nuoro Un litigio furioso una ventina di giorni fa, le voci che arrivano fino in strada, in via Ichnusa, qualche vicino che sta per chiedere l’intervento di una pattuglia, ma poi nessuno segnala altro, e non arriva nemmeno una denuncia. Le finestre si chiudono, le serrande idem, e stop. E ancor prima l’esasperazione che cresce dentro così silenziosa che quasi nessuno la avverte, e rivelata solo a pochissime conoscenze, e nemmeno strette. Perché a volte l’intimità riesce più facile esporla ai volti meno conosciuti. E ancora la stanchezza di dover chiedere al marito i soldi per tutto, di riprendere un coniuge che spende i soldi dove non dovrebbe, la voglia di rendersi autonoma, il desiderio di separarsi che comincia a farsi strada. E nella coppia se ne parla, ma finisce là: non si traduce in un passo concreto.

O forse, secondo quanto riferisce un’amica che ha conosciuto bene alcune delle dinamiche della coppia di via Ichnusa, qualche settimana fa c’è stata una piccola accelerata al processo che si sviluppa all’interno della relazione: lei che dice a lui «Basta, non sto più bene con te, io sto bene da sola». Tant’è che a lui, qualche volta, era capitato di dormire dalla mamma in via Gonario Pinna.

I segnali sparsi Pochi, frammentati, e rivelati come confidenza solo a qualche conoscente, tra una chiacchiera e l’altra, e non a un orecchio esperto, tantomeno a uno sportello di ascolto, ma i segnali che possono precedere una tragedia, a quanto pare, c’erano tutti. Come una sorta di Pollicino, Giusi Massetti li aveva sparsi qua e là nelle sue giornate casalinghe dedicate, come sempre dalla maternità da giovanissima e dal matrimonio, alla famiglia e ai suoi affetti, ai tre figli adorati, al suo cuore generoso. Solo che evidentemente a quei segnali così divisi, fatti trapelare senza darci troppo peso, non era facile attribuire la loro importanza e gravità. E soprattutto collocarla all’interno di un quadro preciso che con quei sintomi gli esperti chiamano abuso o “violenza domestica” con tante altre sfaccettature. A tre giorni dalla strage di via Ichnusa, con lo strascico di morte successivo in via Pinna, e nell’attesa delle autopsie di oggi a Cagliari, e mentre gli inquirenti stanno sentendo altri vicini di casa della coppia, le indagini senza un indagato – visto che il reo si è tolto la vita – cercano comunque di trovare le origini di tanto orrore.

I nuovi testimoni Perché in fondo, forse, capire da dove sia partito tutto serve anche a placare le coscienze, a trovare un barlume di pace per la mente in mezzo a una marea di domande, e soprattutto a evitare, magari, che ricapiti ancora. E ancora e ancora. Ma stavolta, dopo giorni di testimonianze ufficiali, di una sequenza di “erano una coppia felice”, “erano innamorati”, “mai ci saremmo aspettati che potesse uccidere”, succede che, seppur in modo informale, altri testimoni si facciano avanti nel dire la loro. E lo facciano per vie traverse, perché non ci tengono proprio, a comparire in questa storia tremenda.

La verità degli amici Spinti, dicono, dal desiderio di dare un contributo alla ricostruzione della verità. Ecco, per loro, la verità – quella che hanno sentito da alcune confidenze di Giusi Massetti – era che la coppia felice fosse solo una finzione. Una costruzione di facciata, che però reggeva perché entrambi i coniugi non erano soliti esternare le loro questioni con facilità. I vicini di casa della famiglia di origine di Roberto Gleboni, tra tanti, raccontano che l’operaio forestale fosse una persona introversa, e che la moglie non frequentasse suocera e cognato. Mentre i vicini di via Ichnusa descrivono entrambi come una coppia normale, tranquillissima e senza segnali di problemi o disagi particolari.

Il pensiero che cova Qualunque cosa covasse, dunque, Roberto Gleboni, riusciva a nasconderla bene. Qualunque preoccupazione e disagio avesse Giusi Massetti, pure lei riusciva a mascherarli. O quasi: perché ogni tanto, in realtà, qualcosa veniva fuori: una ventina di giorni fa le urla che alcuni vicini sentono provenire da quell’appartamento. O venivano fuori nelle brevi chiacchierate con alcune conoscenze: lui beve, è possessivo, devo chiedere a lui i soldi per tutto, sono stanca.

Una sequenza premeditata Fino all’altra mattina: quando l’operaio forestale afferra la Beretta 7.65 che possedeva legalmente e decide di sterminare la famiglia. E di farlo con una sequenza di fuoco che secondo gli inquirenti è figlia quantomeno di una programmazione di diverse settimane. Lucida e silente. Come fa chi cova dentro una rabbia che cresce, un pensiero che lo disturba e che è pronto a far esplodere come un tappo. «Voleva sterminare tutta la famiglia e portarla con sè nella bara. Così aveva deciso», ripetono gli investigatori. 

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