La Nuova Sardegna

L’intervista

Lorenzo Patta: «È il momento di accelerare, anche senza il testimone in mano»

di Andrea Sini
Lorenzo Patta: «È il momento di accelerare, anche senza il testimone in mano»

Lo sprinter: «Amo la staffetta ma voglio crescere a livello individuale»

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Sassari La staffetta come rampa di lancio nell’olimpo dell’atletica, con un ruolo chiave e tanta responsabilità sulle spalle. La medaglia d’oro vinta a Tokyo come costante punto di riferimento e metro delle proprie ambizioni. Ma fuori dalla “comfort zone” della 4x100 c’è un Lorenzo Patta deciso a fare il salto di qualità anche a livello individuale. A 24 anni, lo sprinter di Oristano in forza alle Fiamme Gialle si prepara a vivere una fase importante della propria carriera.

Finito il riposo post olimpico?

«Sì, ho ripreso da poco ad allenarmi. Sono riuscito a staccare e mi sono goduto anche un po’ di vacanze in Sardegna insieme agli altri compagni della staffetta. È una cosa che facciamo ogni anno, siamo un gruppo di amici anche fuori dalla pista».

Con la fine della stagione è tempo di bilanci: com’è andato l’anno olimpico?

«Con la staffetta certamente non male. L’oro che abbiamo vinto agli europei di Roma è una medaglia che pesa. Alle Olimpiadi purtroppo siamo andati a un tanto così dal podio e se devo dirla tutta sono più triste che felice per quel risultato».

Come si colloca nella querelle sul quarto posto? È un piazzamento da festeggiare o un bersaglio mancato?

«Quando arrivi a una gara con grandi obiettivi può sembrare una sconfitta. Se 5 anni fa mi avessero detto che sarei arrivato quarto alle olimpiadi mi sarei messo a ridere. Di certo ci aspettavamo un podio, sono convinto che la medaglia fosse alla nostra portata. Ma in pista ci sono anche gli avversari, e in questo caso erano davvero forti. Quindi sul momento la delusione è stata cocente, ma più passa il tempo e più penso che sia stata comunque un’altra grande impresa. Perché anche senza medaglia ci siamo confermati tra le grandi potenze della velocità. Tokyo non è stato un caso».

A livello individuale come valuta la sua stagione?

«Non sono per niente soddisfatto, non è stata la stagione che mi aspettavo. Gli obiettivi erano ben altri rispetto a quanto sono riuscito a ottenere. A partire dai 100 agli Europei, che ho dovuto saltare per un infortunio rimediato il 15 maggio, quindi poche settimane prima. Ho recuperato scegliendo di gareggiare solo con la staffetta, ma ovviamente avevo anche altri obiettivi. Da lì in poi è stata una continua rincorsa alla condizione ottimale. Ma dopo gli europei ero a pezzi, perché ovviamente dopo l’infortunio ero ripartito a bomba per recuperare. Insomma, nessun risultato di rilievo».

La sensazione è che se da un lato lei è stabilmente tra i grandi sprinter mondiali quando gareggia con la staffetta, a livello individuale debba ancora trovare la sua dimensione. È d’accordo?

«In questi anni mi sono concentrato molto sulla staffetta e quando c’è stato da scegliere ho sempre puntato su quella. Vorrei però un po’ cambiare a partire dall’anno prossimo, mi piacerebbe dire la mia e mi dispiace molto non avere ancora partecipato a un grande evento. Per gli anni a venire l’obiettivo è proprio quello. Senza comunque tralasciare la staffetta, la specialità più bella che c’è, quella che dà più carica e motivazione».

Punterà ai 100 o ai 200?

«Parto dai 100 ma punto ad arrivare ai 200. Ogni anno inizio la preparazione pensando ai 200, poi succede sempre qualcosa che mi porta a tornare sulle mie decisioni. Spero che il 2025 sia l’anno buono».

Tra le cose più strane che le sono capitate quest’anno c’è la gara corsa con un paio di scarpe di una compagna di nazionale, Anna Polinari. Ci racconta com’è andata?

«Eravamo a Nassau per i mondiali di staffette. La mattina della gara ho scoperto che il mio nuovo modello di scarpini non è omologato per le manifestazioni internazionali. Allora siamo usciti e ci siamo messi a caccia di scarpe nei negozi, ma non le abbiamo trovate. Per fortuna nello staff qualcuno pensato che nella nostra comitiva ci fosse anche una collega che calza il 40 e mezzo come me. Ora ci rido su ma abbiamo trascorso un paio d’ore non proprio divertenti».

La medaglia d’oro olimpica le ha cambiato la vita?

«Per certi versi sì, per altri resta identica a prima. Mi alleno sempre a Oristano con il mio storico allenatore, il professor Francesco Garau. Ho più popolarità di prima e anche le aspettative nei miei confronti si sono alzate. Ma io resto la persona timida e riservata che ero prima».

Lei è alto poco più di 1,70 e non pesa più di 60 chili. Non è indispensabile avere un fisico da culturista per primeggiare nell’atletica?

«Ci sono due scuole di pensiero differenti e quella maggioritaria è basata sul volume dei muscoli. Io e il mio allenatore abbiamo fatto una scelta opposta e, se vogliamo, abbastanza estrema. Non so se con 20 chili di muscoli in più andrei più piano o più forte, so però che con il mio fisico ottengo buoni risultati. Io penso che un bravo preparatore debba scegliere il tipo di allenamento in base alle caratteristiche dell’atleta».

Nessun disagio quando si trova sui blocchi partenza in mezzo a certi bronzi di Riace?

«Quando vado sui blocchi ho ben altri pensieri. Il primo è cercare di partire e non vedere nessuno. Significa che sono andato più veloce di tutti».

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