Aumento dei prezzi e sistema sanitario in tilt: anziani sardi in ginocchio
L’analisi dei segretari regionali dei sindacati: «Divario spaventoso con il resto dell’Italia, serve un adeguamento al reale costo della vita»
Cagliari In Sardegna gli effetti delle pensioni basse sono laceranti e si riflettono su vari aspetti della vita quotidiana, già aggravata dall’aumento sconsiderato dei prezzi e da un sistema sanitario che propone liste d’attesa infinite. Non è segreto: nell’isola sempre più anziani si ritrovano costretti a rinunciare a spese essenziali come ad esempio quelle per la salute, l’assistenza o la manutenzione della casa. E in più l’impossibilità di aiutare economicamente figli e nipoti aggrava ulteriormente la condizione di famiglie già in difficoltà.
Un quadro sociale inquietante che Giacomo Migheli, dall’aprile dello scorso anno segretario regionale dello Spi Cgil, conosce molto bene, tanto che nell’analizzare la situazione va subito al nocciolo della questione: «Il potere d’acquisto dei salari e delle pensioni si è ridotto – tuona –, la ricchezza che si produce non viene poi redistribuita a chi, con il proprio lavoro, consente a questo Paese di reggersi in piedi. La quota dei contribuenti pensionati oggi è pari al 36 per cento del totale dei contribuenti italiani». Ma Migheli snocciola anche altri dati: «In Sardegna il 33 per cento di chi è andato a riposo dopo una vita di sacrifici percepisce un assegno tra i 500 e 749 euro, e in generale gli ex lavoratori dipendenti sardi possono contare su un importo medio inferiore a quello nazionale e con sensibilissime differenze di genere».
E se nell’isola le pensioni sono di gran lunga più basse rispetto alla media nazionale, per il segretario regionale dello Spi Cgil il motivo è principalmente uno: «Da noi – spiega – i salari e gli stipendi a delle persone sono inferiori al resto dell’Italia e di conseguenza anche le pensioni sono più basse. È quanto mai necessario che le pensioni vengano adeguate davvero al costo della vita e si riducano le aliquote fiscali con una riforma redistributiva equa e solidale, ma purtroppo il governo nazionale non smette di fare cassa su chi, dopo aver lavorato una vita, continua a sostenere il Paese pagando le tasse e vedendosi poi negati i servizi».
Da parte sua, Mimmo Contu, segretario generale regionale della Federazione pensionati della Cisl, pone l’accento su un altro aspetto: «È chiaro – dice – che gli esperti sottolineano che bisogna puntare sulle politiche attive del lavoro, ma affermare che più c’è occupazione e più il sistema previdenziale si regge è pleonastico. La verità è che è necessario cambiare passo prima possibile, e a mio avviso la prima cosa che dobbiamo fare in Italia è quella di separare la previdenza dall'assistenza. Sia chiaro – conclude Contu – , lungi da me dire che il sindacato è contro l'assistenza, ma bisogna assolutamente metterla in un capitolo a parte».