Granchio blu, ecco il piano del governo: è emergenza anche nell’isola
La Regione ha finanziato con 400mila euro due ricerche universitarie. Infestate le principali lagune della Sardegna
Sassari Ammonta a 10 milioni di euro l’investimento previsto dal Governo Meloni, attraverso il Decreto Agricoltura, per finanziare il Piano di intervento contro la diffusione del granchio blu in Italia. Presentato al Ministero dell’Agricoltura, il piano mira a contenere e contrastare la proliferazione di questa specie invasiva nel biennio 2025-2026, concentrandosi inizialmente nel Delta del Po (Polesine e area ferrarese), nelle lagune e lungo i tratti costieri dell’Alto Adriatico.
«Se questa strategia risulterà efficace, la potremo riproporre in altre aree del Paese, perché il granchio blu non è presente solo in Veneto ed Emilia-Romagna ma anche in Sardegna, Puglia, Toscana e Sicilia», spiega il commissario straordinario per il granchio blu, Enrico Caterino, in occasione della presentazione del Piano.
La situazione in Sardegna
Nell’isola c’è una presenza massiccia di granchio blu in tutte le lagune regionali e si tratta di una specie fortemente invasiva e aggressiva: basti pensare che il primo ritrovamento risale al 2017 e ora è presente in tutte le coste sarde. Le principali zone interessate sono: il Golfo di Oristano, le foci del Cedrino e del Coghinas, le lagune di Tortolì, San Teodoro e il Calich ad Alghero. E ancora: Porto Pozzo, Cesaraccio, Pilo, San Giovanni Muravera, Porto Pino, lo stagno di Feraxi, lo stagno di Sa Praia, lo stagno di Santa Gilla. In questi habitat, il crostaceo sta falcidiando vongole, arselle e altri bivalvi.
La ricerca accademica: 400mila euro per studiare l’invasione
Accanto alle misure emergenziali, il problema granchio blu è oggetto di studi approfonditi da parte delle università sarde. «L’università di Sassari ha un finanziamento regionale di 200mila euro per lo studio della presenza del granchio blu in diverse lagune sarde — spiega il professor Marco Casu, del dipartimento di Medicina Veterinaria, —. Un progetto analogo è stato finanziato a Cagliari, con altri 200mila euro. Complessivamente, dunque, in Sardegna sono stati stanziati 400mila euro per studiare diffusione e distribuzione della specie».
La ricerca, che durerà due anni, prevede campionamenti mensili attraverso l’uso di nasse per stimare la quantità di esemplari presenti, suddivisi per sesso ed età riproduttiva (dalle uova in fase iniziale a quelle pronte all’emissione).
«All’Università di Sassari — aggiunge Casu — studiamo i contenuti stomacali dei granchi attraverso il dna ambientale (eDna), prelevando lo stomaco e il tratto intestinale per capire cosa mangiano. Così possiamo risalire anche alle parti più digerite e stabilire l’impatto su ciascuna specie colpita: quelle di interesse commerciale (vongole, ostriche, pesci, anguille, muggini) e quelle protette a fini conservazionistici».
Oltre al Dipartimento di Medicina veterinaria, nel progetto, coordinato per l’università di Sassari dallo stesso Casu, è coinvolto il Dipartimento di Scienze biomediche con la professoressa Daria Sanna. «L’obiettivo finale dello studio — conclude Casu —, oltre a individuare metodi di eradicazione o contenimento della specie, è quantificare i danni subiti dai pescatori, sia in termini di mancata pesca sia di deterioramento delle attrezzature. Queste conoscenze specifiche sulla Sardegna sono fondamentali, perché gran parte degli studi svolti finora si basa sulla laguna veneta, che presenta caratteristiche di pesca e un clima differenti. Conoscendo diffusione e abitudini alimentari del granchio blu nell’isola, potremo anche capire l’entità economica dei danni e valutare futuri ristori per i pescatori locali».
Come reagire: dalle gare di pesca alla tavola
Se da una parte si rafforzano le iniziative di contenimento e lo studio scientifico, dall’altra non mancano metodi più “creativi” per arginare l’avanzata del granchio blu. A Posada, per esempio, la sua presenza è diventata occasione per organizzare gare di pesca mirate, mentre nello stagno del Calich ad Alghero è ormai servito anche nei ristoranti, trasformando una minaccia ambientale in una risorsa culinaria. La sfida resta aperta, le chele blu continuano a estendersi in nuovi habitat costieri, mettendo a rischio l’equilibrio degli ecosistemi e le attività di pescatori e acquacoltori locali. Le risposte, dunque, arrivano su più fronti: dalla scienza alla gastronomia, passando per una nuova strategia nazionale di contenimento ed eradicazione, nella speranza di arrestare un fenomeno che, al momento, rappresenta una delle emergenze più significative per la biodiversità marina italiana.