Ibra rivive la sua storia: «Un viaggio durato un anno e mezzo, ho visto morte e sofferenza»
Arrivato dall’Africa e approdato in Sardegna nel 2016, ora è mediatore culturale a Calangianus
Olbia Ibra ha gli occhi lucidi. Guarda i profughi che scendono dalla motovedetta della capitaneria e aspetta - insieme con una collega - che una quindicina di loro li raggiungano. Adesso, a 24 anni, fa il mediatore culturale nel centro di accoglienza per minori non accompagnati di Calangianus, ma anche lui, quando aveva 15 anni, ha vissuto lo stesso incubo.
Il suo viaggio alla ricerca della salvezza è durato quasi un anno e mezzo. Dalla Guinea Bissau alla Libia e poi una lunga attesa prima di riuscire a salire su un barcone. Lui, senza i genitori e senza fratelli, è riuscito a farcela ed è arrivato in Sardegna, a Cagliari, il 3 ottobre del 2016. Una data che si è stampata nella sua mente.
È difficile per lui ritornare indietro nel tempo, rivivere quel periodo terribile della sua vita. E a stento riesce a trattere le lacrime. «È stata dura, molto dura – racconta Ibra –. Ho impiegato sei mesi per raggiungere la Libia dal mio paese. È stato un vero inferno, per me e per molti altri. Vorrei poter cancellare tutto e, a volte, penso anche di esserci riuscito. Ma quando mi si chiede di ricordare, sto subito male. Perché rivivo ogni istante, rivivo la paura, rivivo quella fuga che sembrava non finire mai. Ho visto tante, troppo persone che non ce l’hanno fatta, ho visto dolore, disperazione. Ho visto bambini soli, famiglie che non esistevano più. Eravamo migliaia. Migliaia di persone che soffrivano e che continuavano a scappare. Io non conoscevo nessuno e non avevo nessuno con me. Tutti aggrappati a un destino che non sapevamo che cosa ci avrebbe riservato. Io sono riuscito a rimanere vivo».
Non aggiunge altro, Ibra. Non vuole soffrire ancora. E allora passa subito a raccontare ciò di cui si occupa adesso con entusiasmo e soddisfazione. «Sì, sono un mediatore culturale e stamattina sono qui ad accogliere tanti fratelli. Dovrò parlare a lungo con loro, dovrò spiegare loro che cosa possono e devono fare, dovrò dire loro che, essendo minorenni, dovranno andare a scuola. Le regole vanno rispettate, perché bisogna avere rispetto per il Paese e le comunità che ci accolgono. Costituiremo una vera squadra per svolgere tante attività e anche questi ragazzi potranno di nuovo tornare a sorridere».
Calangianus aveva aderito alla rete dello Sprar (Sistema di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati) per l'accoglienza diffusa, ordinata e controllata dei migranti, nel 2018. E poco dopo era nato il centro. «Si è convinti – avevano detto dal Comune – che l'accoglienza diffusa attraverso piccoli numeri divisi sul territorio, eviti le concentrazioni, le ghettizzazioni e metta al centro una vera integrazione che passerà attraverso attività di carattere sociale, sportivo e ricreativo». (s.p.)