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Chiesa

Offerte per le messe, nuove regole: «Una spetta al parroco, le altre deve darle alla curia»

di Mario Girau
Offerte per le messe, nuove regole: «Una spetta al parroco, le altre deve darle alla curia»

Un decreto del Vaticano norma la gestione delle “intenzioni collettive”

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Sassari Pregare per tante persone nella stessa messa è possibile, ma il sacerdote può intascare direttamente una sola offerta – preferibilmente la più bassa – tutte le altre deve destinarle alla curia diocesana o alle necessità delle parrocchia. Con un decreto approvato domenica scorsa, il Dicastero vaticano per il clero ha aggiornato la disciplina relativa alle intenzioni delle sante messe e alle offerte collegate, introducendo regole più chiare per garantire trasparenza, correttezza e rispetto della volontà dei fedeli.

«In realtà nulla di nuovo – dice monsignor Giulio Madeddu, parroco della chiesa di Santo Stefano di Quartu Sant’Elena – si tratta soltanto di ulteriori precisazioni a integrazione e specificazione di norme già contenute nel decreto Mos iugiter del 1991, per affrontare alcune criticità emerse nella prassi e specialmente in merito alle messe con intenzioni “collettive”, ovvero celebrazioni con più intenzioni nello stesso rito». In particolare, l’ex Congregazione per il clero stabilisce che i sacerdoti possono accettare più offerte da persone diverse, cumulandole con altre, tutte concentrate in una sola Messa, celebrata secondo un’unica intenzione “collettiva”. Insomma: ricevo 5 e faccio 1. Ma a una sola condizione : «che tutti gli offerenti ne siano stati informati e liberamente abbiano acconsentito».

In assenza di un «consenso esplicito», la volontà degli offerenti «non può mai essere presunta», anzi, «in assenza, si presume sempre che non sia stata data». «Senza questo consenso si cade nella simonia», dice don Giorgio Lisci, parroco di Uras e san Nicolò Arcidano, che spiega la ribadita disposizione della Santa Sede come risposta anche alla moda delle consulenze spirituali a pagamento possibili su una piattaforma americana. «Tutto quello che di religioso passa su internet e prevede costi e tariffe – dice don Madeddu – deve essere preso con le molle e con la massima prudenza. Di cristiano ha poco. Inoltre internet non assicura il rispetto/certezza della segretezza del dialogo in tutte le fasi di un processo on line».

Monsignor Nico Massa, parroco della chiesa di san Niccolò a Guspini, ricorda una conquista della diocesi di Ales-Terralba: «Nel 1949 il vescovo Antonio Tedde ha abolito ogni regime tariffario alle messe. Si fanno offerte, se si vuole, libere. Da noi è in vigore la prassi che quando un sacerdote celebra in un giorno due messe, deve versare almeno 10 euro alla curia per contribuire alle necessità della Chiesa locale». In un passato non molto lontano tra i sacerdoti funzionava un sistema in certo senso cooperativistico. «Si chiamava delle “messe manuali”. Il sacerdote – spiega don Massa – riceveva offerte per celebrare messe senza scadenza temporale. Quando non riusciva a farlo, trasferiva questo dovere celebrativo a un missionario, in genere impegnato in chiese povere, consegnandogli le corrispondenti offerte». Il decreto della Domenica delle palme considera «gravemente illecita» l’accettazione di offerte in occasione di una semplice celebrazione della parola o di un semplice ricordo durante la messa.

«In tutte le messe – dice don Madeddu – si prega liberamente secondo intenzioni, proposte e raccomandate dai fedeli, per necessità personali e sociali». Nel decreto vaticano si rinnovano le disposizioni già vigenti, secondo le quali il sacerdote, oltre alle offerte determinate dalla competente autorità, «per l’amministrazione dei sacramenti non domandi nulla, evitando sempre che i più bisognosi siano privati dell’aiuto dei sacramenti a motivo della povertà».

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