La Nuova Sardegna

Le reazioni

Luca Locci sequestrato a 7 anni: «Chiesi anch’io ai banditi di farmi tornare a casa»

di Luigi Soriga
Luca Locci sequestrato a 7 anni: «Chiesi anch’io ai banditi di farmi tornare a casa»

Lo sfogo su Facebook dopo i post celebrativi su Graziano Mesina

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Sassari Chi viene rapito a sette anni non chiede altro che tornare a casa. Chi rapisce, a ottantatré anni, fa lo stesso. Ma uno è vittima, l’altro carnefice. Semplice, no? Non per chi oggi tesse orazioni funebri o narra leggende. Sarà per questo che Luca Locci, nel leggere certi post celebrativi nei confronti di Graziano Mesina, avrà provato un senso di nausea e di sdegno. Lui, il 24 giugno 1978, era per strada a giocare con gli amici. Intorno il deserto, i grandi tutti rintanati nei salotti, volume della tv a palla per la partita Italia-Brasile.

I banditi lo hanno rapito davanti alla sua casa di Macomer, e lo hanno tenuto prigioniero per 93 giorni, quasi sempre legato e incappucciato. «Se ci vedi in faccia sei morto», gli dicevano. E lui abbassava gli occhi, per sopravvivere. Ma ora, di fronte a certi sproloqui agiografici che tirano in ballo l’identità e il riscatto di un popolo, lo sguardo di quell’ex bambino non può più chinarsi e restare indifferente.

Luca Locci ha scritto sulla sua pagina Fb: «Ma, non credete che tutti gli ex sequestrati, per tutto il periodo della loro prigionia, non abbiano chiesto ogni santo giorno di poter tornare nel proprio paese, nella propria abitazione fra i propri cari, ma qualcuno ha deciso per loro che non era fattibile, chiedevano una detenzione più umana e rispettosa, ma anche questo non è stato possibile, qualcuno purtroppo non ha fatto rientro a casa neanche da morto, lo dico per quei personaggi pseudo pubblici, ai quali probabilmente sta sfuggendo un po' di mano la cosa, poi difronte alla morte, Totò già nel 1963 con "a livella" fece una disamina ineccepibile».

La compassione e la pietà hanno le giuste declinazioni. E c’è differenza se a chiedere di tornare a casa, tra le braccia dei propri affetti, è un bambino innocente di 7 anni, o un uomo colpevole di 83 anni. «Ne ho parlato con Silvia Melis – anche lei ha provato la stessa sensazione di fastidio. Mi ha stupito che una serie di persone, che tutti definiscono intellettuali, abbiano potuto tratteggiare chi ha compiuto dei crimini, in questa maniera. Non si tratta di eroi, mi dispiace ma gli eroi sono altri. Sono banditi che hanno fatto del male non solo a chi è stato rapito, ma all’intera Sardegna. Perché ne hanno sporcato l’immagine, e hanno creato un clima di paura, facendo fuggire tanti imprenditori disposti in quegli anni a investire nella nostra isola».

Il sequestro Locci segnò una svolta nella stagione dell’Anonima, l’asticella della crudeltà si alzò, passando sopra anche al codice barbaricino, che fino a quel momento aveva predicato il rispetto per i bambini. Ci vollero 300 milioni di lire per mettere fine al calvario del piccolo Luca. Il 25 settembre 1978, dopo il pagamento del riscatto, venne liberato nelle campagne di Lula.

Poi la banda venne scoperta e furono condannati in secondo grado a più di vent’anni di reclusione il pastore Gonario Biscu, di Oliena, il macellaio di Sarule Salvatore Cadeddu, il pastore di Orune Biagio Monni e il pastore 29enne Pietro Serra, sempre di Orune.

«Nel 2019, dopo averci provato tante volte, finalmente sono riuscito a incontrare uno dei sequestratori – racconta Luca Locci –. Era il più duro di tutti, quello che aveva dimostrato meno pietà verso un bambino di 7 anni. Avevo bisogno di capire perché mi avesse trattato in quel modo. Purtroppo non ho avuto risposte, ho provato a incalzarlo, ma quel confronto non mi ha lasciato nulla. Per fortuna col tempo le cicatrici si sono richiuse, e posso dire di non aver avuto traumi». Ma la carne viva resta, e certe parole riaprono le ferite.

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