Il 6 maggio alle urne, Parisi: “I partiti boicottano i referendum”
A 15 giorni dal voto nessuno si impegna ufficialmente. Arturo Parisi: «Il solito gioco che purtroppo conosciamo bene»
SASSARI. Un comitato per il no, fatta salva l’opposizione “tecnica” dell’Ups, non esiste. Una posizione univoca dei partiti (tranne i Riformatori e il movimento La Base) meno che mai.
Con il governatore Pdl Ugo Cappellacci che si “accapiglia” con il Pd Roberto Deriu, e i segretari regionali dei loro partiti che si scambiano i ruoli: favorevole (pur con il «massimo rispetto per l'iniziativa di chiarimento istituzionale dell'Ups») Silvio Lai. Contrario (in compagnia del conterraneo Fedele Sanciu) Settimo Nizzi. Nel terzo polo è contrario il leader Api Roberto Capelli, e sono nel comitato promotore il presidente Anci dell’Udc Umberto Oppus, il segretario dell’Mpa Franco Cuccureddu e molti pezzi di Fli. Sel dibatte ma è prudente (e tendenzialmente contraria), l’Idv Federico Palomba è per il sì. Molte intenzioni di voto sono semplicemente “non pervenute”.
«È il solito gioco – spiega Arturo Parisi, sabato a Sassari per “lanciare la corsa” al voto – i singoli componenti dei partiti vanno all’incasso dichiarando la posizione al momento più favorevole. Tutti però sanno che, senza l’impegno diretto dei partiti, il referendum è quasi sempre destinato al fallimento. La verità è che i politici vedono male lo strumento referendario, temono che venga messo in discussione il loro ruolo di intermediazione. E, incredibilmente, non si esprimono su questioni di importanza capitale. Anche se, come in questo caso, riguardano loro stessi». Difficile non dare ragione all’ex ministro della Difesa sassarese, non fosse altro per il fatto che di campagne referendarie (e di partiti) se ne intende parecchio. «Qualcosa sta cambiando – sottolinea – per l’incredibile onda di mobilitazione che cresce nel paese. Che, grazie ai nuovi media, circola, si espande. Con forza e con facilità. E i partiti come sempre, di fronte a questo, si mettono sulla difensiva. Invece di incanalare questo sentimento lo boicottano, senza rendersi conto che rischiano di perderne il controllo».
Parole pesanti, che arrivano a 14 giorni da un appuntamento di cui effettivamente si è parlato pochissimo. «In un momento del genere, soprattutto in alcune aree politiche, sarebbe un suicidio dire di essere contrari ai referendum – attacca Parisi –, magari in territori dove si vota per le amministrative. Ma un generico appoggio è come non dare nessun appoggio. È un vecchio trucco, che si perpetua. A danno principalmente degli stessi partiti. Che hanno perso democrazia interna, e perdono i contatti con l’esterno. E nascondono la testa sotto la sabbia aspettando che passi la tempesta».
Più “clemente” (ma nemmeno tanto) uno dei leader del movimento referendario, Pierpaolo Vargiu dei Riformatori: «Questi sono i referendum della gente. E i partiti non potrebbero mobilitarsi nemmeno se volessero. Semplicemente la gente non li sta più ad ascoltare. E loro lo sanno bene. E infatti in un momento in cui bisognerebbe darsi da fare loro sono immobili. Terrorizzati da qualsiasi mossa. È per questo che bisogna andare a votare. Per ridare forza alla politica. Perché senza politica un paese va allo sbando. E, solo cacciando la casta, si può riprender a testa alta a farla».
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