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Sassari, sangue infetto: il ministero pagherà un milione

Sassari, sangue infetto: il ministero pagherà un milione

I giudici della Corte d’appello confermano la sentenza di primo grado: Furesi morì dopo una trasfusione 

18 gennaio 2020
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SASSARI. «La giustizia è lenta ma io non mollo. Lo devo a Salvatore Furesi, morto 17 anni fa per un tumore al fegato contratto in seguito ad una trasfusione di sangue infetto durante un intervento di bypass al cuore. Quando quell’uomo, amante del mare, padre di tre figli, è venuto in studio a raccontarmi la sua storia di malasanità, ho preso a cuore la sua situazione e, così anche rinunciando ad indennizzo di 100mila euro previsto da un sistema di convenzioni che il ministero della Salute aveva predisposto per gli emotrasfusi infetti sparsi su tutto il territorio nazionale, ho deciso di patrocinare la sua causa.

“Voglio giustizia”, mi ripeteva ogni volta. Sarebbe felice di sapere che oggi i giudici della Corte d’Appello di Cagliari hanno confermato la sentenza di primo grado del giudice monocratico del tribunale di Cagliari che due anni fa aveva stabilito che lui è morto proprio a causa di quelle trasfusioni. I giudici d’appello hanno così confermato la condanna del ministero della Salute a pagare quasi un milione di euro di risarcimento in favore della moglie e dei tre figli».

L’avvocato Alberto Oggiano, del Foro di Sassari, gira e rigira tra le mani la sentenza della Corte d’Appello di Cagliari che dà ragione, per la seconda volta, ai suoi assistiti. «È stata una battaglia lunga e ancora non è finita, l’avvocatura dello Stato potrebbe ancora proporre ricorso in Cassazione. Ma noi non ci facciamo intimorire. Anzi, metteremo subito in esecuzione la sentenza». La moglie e i figli dell'algherese Salvatore Furesi, infatti, non hanno ancora percepito un euro del risarcimento riconosciuto in primo grado dal giudice monocratico del tribunale di Cagliari, Doriana Meloni, ora confermato in appello.

«Forse ci attenderanno ancora mesi di schermaglie che potrebbero essere evitate se solo il ministero adottasse il principio del buon senso – si rammarica l’avvocato – Il ministero della Salute dovrebbe chiedere scusa a Salvatore Furesi e alla sua famiglia ed anziché sottrarsi, come ha fatto finora, alle proprie responsabilità, dovrebbe ordinare immediatamente ai dirigenti ministeriali di rispettare le sentenze pronunciate in nome del popolo italiano».

La storia di Salvatore Furesi è comune a quella di molti altri italiani. Lo scandalo del cosiddetto sangue infetto scoppia in Italia tra la fine degli anni '80 e i primi anni '90, quando si scopre che alcune aziende farmaceutiche hanno commercializzato nel nostro paese flaconi di emoderivati contaminati. Era, in pratica, sangue ottenuto da soggetti a rischio (detenuti, tossicodipendenti) molto più economico per le cause farmaceutiche che riuscivano poi a piazzare i prodotti infetti sul mercato dopo aver fatto pressioni su politici e funzionari pubblici. Nessuno finora ha pagato. L’unico processo penale scaturito dallo scandalo del sangue infetto si è concluso l’anno scorso con un nulla di fatto. Duilio Poggiolini, l'ex direttore del servizio farmaceutico del ministero della Salute, è stato assolto con formula piena. (g.z.)
 

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