La Nuova Sardegna

Sassari

La sentenza

Centinaia di chiamate mute e anonime all’amica undicenne della figlia, condannata una donna di 41 anni

di Nadia Cossu
Centinaia di chiamate mute e anonime all’amica undicenne della figlia, condannata una donna di 41 anni

Il caso nell’hinterland di Sassari. La giovane vittima, ormai terrorizzata, era stata presa di mira anche a scuola con bigliettini minacciosi e offensivi che trovava nello zainetto

21 giugno 2024
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Sassari Quasi quattrocento chiamate anonime e mute (a parte le volte in cui si sentiva l’inquietante respiro di una persona) arrivate sul telefonino di una ragazzina di 11 anni. Che a un certo punto era talmente terrorizzata da non voler più uscire di casa né andare a scuola.

Da qui la decisione della mamma di presentare una denuncia ai carabinieri che, a conclusione delle indagini e in particolare grazie all’esame dei tabulati, hanno scoperto che quelle 373 telefonate provenivano da un’utenza intestata alla mamma di una compagna di classe dell’undicenne.

È finita a processo – ed è stata condannata dal giudice Antonietta Crobu – una 41enne di un paese dell’hinterland alla quale era stato contestato il reato di molestie, nel caso specifico “col mezzo del telefono”. Sarebbe stata lei, secondo quanto emerso in tribunale, a tempestare di telefonate e a spaventare a morte l’amichetta della figlia. Una ragazzina molto educata e schiva che era evidentemente finita nel mirino. Perché quelle chiamate da numero sconosciuto erano state precedute da tanti bigliettini anonimi che le venivano messi dentro lo zaino di scuola e anche sparsi nel vicinato con scritte in stampatello di questo tenore: “Fai schifo”, “sei scema”, “sei brutta”, “i tuoi capelli sono pidocchiosi”, “tua madre è una cornuta” e anche frasi minacciose come “stai attenta, stai molto attenta, se esci ti picchio”. Ne aveva trovato qualcuno anche una vicina di casa (“se esci ti picchiamo, brutta”, c’era scritto) che lo aveva consegnato alla mamma della ragazzina.

L’undicenne stava molto male, fisicamente e psicologicamente, ormai non si fidava più di nessuno e non voleva andare a scuola. Così sua madre si era rivolta all’avvocato Lidia Marongiu ed era partita la denuncia ai carabinieri. Come ha ripercorso il giudice nelle motivazioni della sentenza, sempre la madre della vittima di molestie aveva raccontato di conoscere l’imputata in quanto era una sua vicina di casa ma di non aver mai avuto grandi rapporti con lei. Aveva aggiunto che dopo aver sporto querela per la vicenda dei bigliettini (per la quale sarebbe stato avviato un procedimento penale a carico di nove bambini al tribunale per i minorenni di Sassari) la 41enne l’avrebbe minacciata dicendole “che era ancora niente quello che stava passando la figlia”. Mentre in seguito alla citazione davanti al tribunale avrebbe persino “tentato di investirla con l’auto”.

Non solo. Sempre nella ricostruzione del giudice Crobu è evidenziato un altro episodio. Un giorno d’estate l’11enne sarebbe andata a casa della (ex) amica che l’avrebbe tenuta per mezz’ora chiusa in una stanza al buio dicendole “che non avrebbe più visto i genitori”. «Quel giorno – aveva raccontato la mamma – tornò casa in lacrime».

L’imputata si è sottoposta a esame nel processo e ha negato tutte le accuse sostenendo di non riuscire a spiegarsi come dal suo telefono fossero partite tutte quelle chiamate. Una versione “alternativa dei fatti contestati – è scritto nelle motivazioni – poco credibile e non riscontrata. L’imputata ha infatti genericamente negato ogni addebito cercando di giustificare senza riuscirci le 373 chiamate effettuate dalla scheda telefonica a lei intestata, gettando le responsabilità sul compagno, sulla figlia e sugli amici della stessa, tutti all’epoca bambini di circa 11 anni».

Il giudice Crobu non usa mezzi termini: “L’imputata ha agito in modo pressante, con arroganza e invadenza, con continua intromissione inopportuna nella sfera di libertà della persona offesa e con movente riprovevole in se stesso”.

E proprio la gravità dei comportamenti ha determinato il rigetto delle richieste di oblazione e di messa alla prova presentate dall’imputata attraverso il suo legale. La 41enne è stata condannata alla pena di 516 euro di ammenda (trattandosi di contravvenzione) e al risarcimento di mille euro alla parte civile.

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