«Dammi 50mila euro o ti brucio la casa», ristoratore a giudizio
L’uomo di Alghero è accusato di tentata estorsione ai danni del parente di 80 anni
Sassari Due versioni nettamente contrapposte in una vicenda di famiglia che ora approda in un’aula di tribunale. E sarà un giudice a stabilire da quale parte stia la verità. A finire a giudizio con l’accusa di tentata estorsione è un 45enne di Alghero, ristoratore di professione, accusato di aver minacciato lo zio ottantenne per ottenere da lui cinquantamila euro: «Se non me li dai – così, secondo la Procura, gli avrebbe detto – ti brucio la casa e la macchina, ti taglio il collo e diffondo foto compromettenti di tue figlie».
Dall’altra parte la difesa dell’imputato (tutelato dall’avvocato Sabina Useli): «Le nostre famiglie erano unite da sempre, mai avrei potuto fare una richiesta simile a mio zio, c’è stata una discussione quel giorno ma per motivi certamente differenti ed è stato lui a rompermi in testa una bottiglia di vino, io l’ho solo spinto per difendermi».
Il gup Sergio De Luca, però, accogliendo la richiesta del pubblico ministero Angelo Beccu ha rinviato a giudizio il 45enne per la tentata estorsione. L’uomo era accusato anche di lesioni ma quel capo di imputazione è stato stralciato (per competenza del giudice di pace). La prima udienza del processo è stata fissata per l’8 maggio.
I fatti risalgono allo scorso aprile quando, in località Pischina Salida, erano intervenuti i carabinieri della stazione di Fertilia. A chiamarli era stato l’80enne (assistito dall’avvocato Pietro Fresu) il quale aveva raccontato di esser stato aggredito dal nipote che sarebbe andato a casa sua per costringerlo a dargli 50mila euro, minacciando ritorsioni qualora non lo avesse fatto. Aveva anche detto di esser stato colpito con pugni e di esser caduto a terra (l’anziano aveva riportato un lieve trauma cranico e una frattura scomposta al collo dell’omero, giudicate guaribili in 30 giorni). L’altra verità è quella del 45enne che ha sempre detto di essere andato dallo zio quel giorno per chiedergli di fare in modo che la moglie (quindi zia dell’imputato, a suo dire affetta da sofferenza mentale) limitasse le visite nel ristorante di famiglia – dove a quanto pare si sarebbe recata spesso durante le ore di servizio – perché si creavano situazioni di imbarazzo davanti ai clienti. Non proibirle, limitarle. A quel punto lo zio avrebbe reagito male e la situazione sarebbe degenerata. Fino all’arrivo dell’ambulanza e dei carabinieri, chiamati dall’80enne che si era chiuso in casa.