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«È Fabiolous, un tipo da maglia rosa»

di Mario Carta
«È Fabiolous, un tipo da maglia rosa»

Alberto Loddo, il penultimo sardo al Giro, non ha dubbi: «È un fenomeno, ha un’ottima squadra ed è il nostro orgoglio»

27 maggio 2014
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SASSARI. E’ stato il penultimo (dei soli cinque) ciclisti sardi al Giro d’Italia, è stato fra i primi domenica a sentire Fabio Aru dopo l’impresa di Montecampione. «Gli ho fatto subito i complimenti, poi gli ho chiesto cosa si prova a vincere una tappa al Giro. Una gioia immensa, ha risposto». Una gioia che Alberto Loddo nei suoi lunghi di professionismo non è mai riuscito a provare. La volta che ci è andato più vicino è stato quando ha vinto una tappa in volata – la sua specialità – al Giro di Sardegna, a coronamento di una carriera che l’ha visto tagliare il traguardo per primo «per ventotto o ventinove volte, non ricordo», spiega Loddo da Capoterra, dove vive e dove ancora nei weekend inforca la bici. Loddo era un velocista, Aru uno scalatore. In comune una solida amicizia, il ciclismo e lo stesso vasto Tirreno come distanza dai pedali d’élite, un mare ora prosciugato da una storica impresa alpina. Se Loddo ce l’aveva fatta, Aru non va malaccio. «Speriamo che di ciclisti sardi bravi ne nascano tanti altri, ora anche i successi di Fabio possono fare da traino». E’ a Loddo che Fabio Aru guardava, quando era ancora dilettante. Un mito, l’unico sardo tra i grandi. L’allievo ha superato il maestro. E Loddo? «Esco ancora, qualche passeggiatina il sabato e la domenica, niente a che fare con i cicloamatori. Lo scatto ce l'ho ancora, rimarrà sempre. Ho smesso nel 2010, dopo 28 o 29 vittorie». Per Fabio Aru è stata la prima, su un palcoscenico di primissimo piano. «E stato un successo bellissimo, spero che ne arrivino tanti altri. L’anno scorso non l’ho seguito molto, il Giro, ma ora che c'è Fabio non mi perdo una tappa».

Che cosa bisogna avere per vincere alla Aru? «Molta concentrazione e soprattutto gambe, oltre alla testa. Fabio – spiega Loddo –, è riuscito a fare la differenza e secondo me ora come ora potrebbe anche vincere il Giro. Scarponi è staccato, Rodriguez ritirato... Può essere la sorpresa, come Cunego nel 2004. Il vero Giro inizia sul Gavia, Fabio domenica ha già dimostrato di poter dire la sua».

L’Italia si sta accorgendo di lui. «Ora è un altro mondo, ci sono i social network, c’è una risposta immediata. E i complimenti se li sta meritando sin da quando era dilettante: ha vinto due giri della Val d'Aosta e per riuscirci devi essere un grande, lì non vinci per caso». La Sardegna non è terra di montagne, eppure... «Non è questione di Sardegna o di Trentino, è un fatto di costituzione fisica, sono le doti che gli ha dato la mamma». E poi allenamenti, allenamenti e allenamenti. «Ma prima le doti naturali, altrimenti puoi allenarti quanto vuoi ma resterai un asino. Ma Fabio è un campione, è un fenomeno e ora questo fenomeno può esplodere». Può pesargli la responsabilità, così giovane? «Guardate che Fabio è molto scaltro, è maturo, se l’è cavata anche a cronometro. Corre bene e lo fa a fianco di campioni come Nibali. La sua fortuna è anche quella di avere una grande squadra e tanta gente che lo sa consigliare». Ma lui fa il modesto. «Fabio non si conosce ancora. Può ancora maturare, può solo far meglio. Non è uno da Giro? Non regge la terza settimana? Visto come ha corso domenica può vincerlo: è motivato, ha la cronoscalata dalla sua, va forte, ed è sardo».

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