«Il Cagliari deve riprendere a giocare con allegria»
di Stefano Ambu
Gianni Roccotelli, doppio ex della sfida di domani sera alla Domus Arena «Ho il Torino nel cuore ma tifo rossoblù. Sarà dura ma possiamo vincere»
05 dicembre 2021
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CAGLIARI. Con il Torino ha giocato le prime partite in serie A e vinto subito uno scudetto. L’anno dopo il Cagliari ha sfiorato una promozione in A. E in Sardegna ha trovato, lui che con il pallone ha girato tutta l’Italia, il posto dove vivere per sempre. Gianni Roccotelli, doppio ex della sfida di domani alla Unipol Domus, non ha dubbi: «Il Toro ce l’ho nel cuore – spiega – ma tifo Cagliari. Sará una partita difficilissima perché Juric ha dato alla squadra un’impronta particolare: con lui il Torino non smette mai di correre. E contro l’Empoli, se non fosse rimasto in dieci, avrebbe sicuramente vinto. Il Cagliari però non deve avere paura: ha gli uomini per tirarsi fuori da questa situazione. Ma deve stare tranquillo. Il problema ora è la paura di sbagliare e di cacciarsi ulteriormente nei guai. Mazzarri può cercare il risultato infondendo la calma che serve in momenti così delicati. Il ritiro può essere un’arma a doppio taglio: ne ho fatti anch’io. E se da un lato non vedi l’ora di vincere per tornare a casa, dall’altra si crea una situazione che rischia di fare salire la tensione. L’arma migliore secondo me è giocare con allegria».
E l’allegria per Roccotelli è anche la sua mitica rabona, il colpo, un tiro ma soprattutto un assist, a piedi incrociati. «Ora nei tornei amatori non la faccio più – sorride – perché mi hanno operato all’anca. Ma una volta al campo era venuta la Rai per uno speciale. E gliene avevo fatto una quarantina di fila». Tra l’altro proprio una immagine con l’esecuzione del colpo sudamericano è stata per anni il simbolo della scuola calcio di Roccotelli, la Is Arenas di Quartu. Nandez è il giocatore che forse ricorda di più le sue scorribande sulla destra: «Mi piace molto – spiega – corre, si sacrifica anche indietro. Ha bei colpi. Io magari ero più “brasiliano” nelle giocate. Lui mette insieme tecnica ed energia: un grande campione».
Ma cosa manca a questo Cagliari per andare via dagli ultimi posti? Sicuramente serve un regista abbiamo un bel potenziale in avanti, ma non riusciamo a trasferire palloni puliti in attacco e spesso Joao Pedro è costretto ad arretrare il suo raggio d’azione. Vedo meglio Pavoletti rispetto a Keita, fermo restando che anche Keita è un ottimo giocatore».
E Roccotelli di grandi giocatori se ne intende: «Al Torino c’era Claudio Sala, uno che giocava perfettamente con il destro e con il sinistro, io partii bene e giocai anche in Coppa Uefa. Poi un infortunio mi bloccó. E contemporaneamente ingranó Patrizio Sala, che giocava a destra come me. Radice mi voleva confermare. Ma io volevo giocare. E scelsi Cagliari». Promozione sfiorata: «Rimasi fuori per colpa di uno scontro con l’allenatore Toneatto durante un torello: l’infortunio mi taglió fuori dall’ultima fase della stagione e dagli spareggi. Toneatto poi mi disse: ci saresti stato molto utile».
A fine carriera un altro campione accanto, Gianfranco Zola. Alla Torres, stagione 1987-’88: «Un ragazzo eccezionale e umile. Quando mi dicevano: ma tu giochi con Zola, allora lui interveniva e diceva: no, sono io che gioco con Roccotelli. Lui aveva 23 anni, io 38: mi scambiavano per lo zio di uno che giocava con l’Avellino. E invece ero sempre io. Peccato, quell’anno potevamo vincere il campionato. E invece abbiamo guadagnato solo l’accesso alla Coppa Italia, dopo un’ottima stagione. Sono contento che le cose alla Torres stiamo ricominciando a funzionare, merita altre categorie. Ma tante squadre importanti sono scese in D o più giù prima di risalire».
Calcio diverso da quello dei suoi tempi: «Una volta si poteva dribblare di più o comunque dare più spazio alla fantasia, ora c’è troppa tattica. E se un ragazzo lo fermi per giocare a due tocchi quando mai potrà nascere un nuovo Cassano? Per quello anche nella mia scuola calcio l’ho sempre detto: libertà di dribblare dopo il centrocampo. Il calcio è allegria: non soffochiamo il bel gesto. Quando ero al Cesena giocavamo contro Sacchi, il re della tattica che faceva il fuorigioco alto sino a quasi centrocampo: io e Schachner, uno che correva i 100 metri quasi in 10 secondi, li infilavamo sempre con la velocità».
E l’allegria per Roccotelli è anche la sua mitica rabona, il colpo, un tiro ma soprattutto un assist, a piedi incrociati. «Ora nei tornei amatori non la faccio più – sorride – perché mi hanno operato all’anca. Ma una volta al campo era venuta la Rai per uno speciale. E gliene avevo fatto una quarantina di fila». Tra l’altro proprio una immagine con l’esecuzione del colpo sudamericano è stata per anni il simbolo della scuola calcio di Roccotelli, la Is Arenas di Quartu. Nandez è il giocatore che forse ricorda di più le sue scorribande sulla destra: «Mi piace molto – spiega – corre, si sacrifica anche indietro. Ha bei colpi. Io magari ero più “brasiliano” nelle giocate. Lui mette insieme tecnica ed energia: un grande campione».
Ma cosa manca a questo Cagliari per andare via dagli ultimi posti? Sicuramente serve un regista abbiamo un bel potenziale in avanti, ma non riusciamo a trasferire palloni puliti in attacco e spesso Joao Pedro è costretto ad arretrare il suo raggio d’azione. Vedo meglio Pavoletti rispetto a Keita, fermo restando che anche Keita è un ottimo giocatore».
E Roccotelli di grandi giocatori se ne intende: «Al Torino c’era Claudio Sala, uno che giocava perfettamente con il destro e con il sinistro, io partii bene e giocai anche in Coppa Uefa. Poi un infortunio mi bloccó. E contemporaneamente ingranó Patrizio Sala, che giocava a destra come me. Radice mi voleva confermare. Ma io volevo giocare. E scelsi Cagliari». Promozione sfiorata: «Rimasi fuori per colpa di uno scontro con l’allenatore Toneatto durante un torello: l’infortunio mi taglió fuori dall’ultima fase della stagione e dagli spareggi. Toneatto poi mi disse: ci saresti stato molto utile».
A fine carriera un altro campione accanto, Gianfranco Zola. Alla Torres, stagione 1987-’88: «Un ragazzo eccezionale e umile. Quando mi dicevano: ma tu giochi con Zola, allora lui interveniva e diceva: no, sono io che gioco con Roccotelli. Lui aveva 23 anni, io 38: mi scambiavano per lo zio di uno che giocava con l’Avellino. E invece ero sempre io. Peccato, quell’anno potevamo vincere il campionato. E invece abbiamo guadagnato solo l’accesso alla Coppa Italia, dopo un’ottima stagione. Sono contento che le cose alla Torres stiamo ricominciando a funzionare, merita altre categorie. Ma tante squadre importanti sono scese in D o più giù prima di risalire».
Calcio diverso da quello dei suoi tempi: «Una volta si poteva dribblare di più o comunque dare più spazio alla fantasia, ora c’è troppa tattica. E se un ragazzo lo fermi per giocare a due tocchi quando mai potrà nascere un nuovo Cassano? Per quello anche nella mia scuola calcio l’ho sempre detto: libertà di dribblare dopo il centrocampo. Il calcio è allegria: non soffochiamo il bel gesto. Quando ero al Cesena giocavamo contro Sacchi, il re della tattica che faceva il fuorigioco alto sino a quasi centrocampo: io e Schachner, uno che correva i 100 metri quasi in 10 secondi, li infilavamo sempre con la velocità».