Fadda fuoriclasse del galoppo: “Ho battuto anche il mio idolo Frankie Dettori
L’ozierese taglia il traguardo delle 1500 vittorie in carriera «Avrei fatto di più trasferendomi, ma ho privilegiato la famiglia»
Sassari È solo una delle innumerevoli vittorie, ma quella dell’ultima riunione di Chilivani in sella a Rebalton de Pine per Antonello Fadda, per tutti Lello, è stata la numero 1.500 di una incredibile carriera. 49 anni il prossimo agosto, nato a Sassari ma ozierese di adozione, «fortunatamente sposato e con due figlie, le mie prime tifose», Fadda è il più vincente dei fantini sardi con base nell’isola. «Da qualche settimana me ne mancava una ma non riuscivo a centrarla, nonostante sia abituato a vincerne anche due o tre in ogni giornata.
È normale una carriera lunga come la sua?
«Di solito si smette qualche anno prima. Ma se ci si tiene molto attivi, in forma, si può continuare. Anche perché oggi contano di più l’esperienza e la tattica, che compensano. Sono anche il fantino in attività che ha vinto il maggior numero di gare in Sardegna. Posso vantare un po’ tutti i record dell’ippica nell’isola. Sono stato spesso in viaggio per gareggiare in tutti gli ippodromi d’Italia, e anche all’estero: anni fa ho avuto l’onore di rappresentare l’Italia all’Europeo, piazzandomi secondo di poco».
Come si fa?
«La mia carriera è iniziata quando avevo 4 anni, sotto la guida di mio padre Franco, anche lui è stato fantino e allenatore, con cui ho aperto una mia scuderia, da lui ho appreso tutto e poi ci ho messo del mio. Ho la capacità di imparare da chi è più bravo di me, apprendere qualche trucco».
Il traguardo di 1.500 successi è qualcosa di eclatante.
«Tra chi ha base in Sardegna sono il primo. La maggior parte sono vittorie nell’isola, ma ho vinto molto a Roma, Napoli, Pisa, Grosseto. Arrivarci per un fantino di stanza nell’isola non è facile, perché qui tra i tre ippodromi si organizza una riunione alla settimana da aprile a dicembre, mentre altrove basta spostarsi e gareggi tutti i giorni. Sino a 4-5 anni fa mi muovevo 2-3 volte alla settimana per andare in Continente, arrivando a 500 gare annuali, ora molto meno, anche se non disdegno di uscire».
Perché non stabilirsi fuori dalla Sardegna, allora?
«Ho avuto proposte, ma sono sempre stato molto legato alla mia famiglia, che mi dà la forza. Ho preferito guadagnare meno ma essere felice, invece che vivere con addosso la tristezza di sentirsi lontano. E non me ne sono mai pentito».
È stato tentato da qualche alto sport?
«Da ragazzino giocavo a pallone, attaccante, ed ero anche molto bravo, ho giocato con l’Ozierese in Serie D, con l’Olbia, ho fatto i provini per Juve, Atalanta, Torino. Ho giocato anche in nazionale juniores. Qualcuno suggeriva “datti all’ippica” (ride) e alla fine l’ho preso sulla parola…»
Una gara che le è rimasta maggiormente in testa?
«Non saprei, sono tante. Ma posso dire a quali cavalli sono rimasto più legato: Sognende, con cui vinsi il primo Derby. Era particolare, mi diede emozioni uniche. E poi TornadobyZuchele: il proprietario me lo diede per allenarmi, “se riesci a lavorarci, bene, altrimenti devo mandarlo al macello, mi ha distrutto tutto”. Un carattere particolare, all’inizio fu difficile, poi con lui ho quasi sempre vinto, anche gare importanti. E quando non è stato bene ci ho anche dormito insieme nel box. Mi ha insegnato tanto dal punto di vista dei rapporti tra uomo e animale. Alla fine divenne il “cocco” di casa. Ricordo anche una corsa internazionale con Ballacoilupi, che ebbe un comportamento particolare tale da scoraggiare 9,5 fantini su 10: riuscii a lottare col cavallo e mi andò bene: vinsi».
Sembra di capire che ci si affeziona ai cavalli, non sono solo macchine per vincere?
«Sconsigliabile affezionarsi, perché oggi quel cavallo c’è, domani no. Però, senza volerlo, a forza di lavorarci assieme arrivi a trattare alcuni anche meglio di te stesso, a volte ricambiato, a volte no».
Quindi è vero: finiscono al macello quando non sono in grado. Non dispiace?
«Diciamo che accade a due su dieci, se proprio non servono a nulla e credo che lo si faccia sempre controvoglia. Gli altri possono diventare stalloni o fattrici. Ma possono essere utilizzati anche in altre discipline, dove si scoprono campioni. Si cerca sempre di trovare una collocazione. Dispiace, sì, così come quando stanno male o bisogna abbatterli perché hanno un arto rotto. Non ho mai voluto assistere. Sono animali fantastici, a volte li coccolo più di mia moglie…»
Ha vinto la classifica di miglior fantino.
«In Sardegna circa 25 volte, in Italia sono arrivato tra i primi 5 per sette volte, non primo perché sino a qualche anno fa non si consideravano le vittorie con i mezzosangue».
Ha incrociato i fantini più conosciuti?
«Ho gareggiato con Dettori, Vargiu, Demuro, i colleghi più bravi del momento. Per me Frankie Dettori resta il numero 1. Cosa ha di speciale? È il fantino perfetto, ha tattica, posizione, aerodinamica, modo di montare. Perché le corse non si vincono negli ultimi 200 metri, devi sfruttare l’arco di una corsa lunga 2 o 3 km, interpretare le caratteristiche del tuo cavallo, metterlo in condizioni di rendere al massimo, saper cogliere l’attimo, fare delle scelte, far sprecare energie all’avversario. Ci sono mille sfaccettature nel corso di una gara. Cose in cui lui eccelle. Ebbene sì, posso vantarmi di essere in vantaggio su Dettori nei pochi scontri diretti che mi sono capitati».