«Nei miei romanzi racconto il difficile lavoro della polizia»
Parla Antonio Fusco, il poliziotto e scrittore “papà” del commissario Casabona Domani a Florinas e giovedì ad Alghero presenta il noir “Il metodo della fenice”
SASSARI. Di poliziotti scrittori, autori di romanzi di successo, ce ne sono ormai diversi. Tra questi Antonio Fusco, napoletano, funzionario nella Polizia di Stato e criminologo forense che in tre anni ha pubblicato tre libri basati sulle indagini del commissario Casabona. L’ultimo, uscito da poco e come gli altri per Giunti editore, si intitola “Il metodo della fenice”. Domani lo presenterà a Florinas, alle 18.30 nel parco comunale per l’anteprima della rassegna “Florinas in giallo”, e giovedì ad Alghero, alle 21 in piazza della Juharia per la prima serata del festival “Dall’altra parte del mare”.
Fusco, poliziotto e scrittore. Come coniuga l’impegnativo lavoro di indagini con la scrittura?
«La scrittura è per me come un hobby, un ritaglio nei momenti liberi che occupo in maniera diversa. Qualche volta sottraendo anche tempo agli impegni familiari. Una passione come altre».
Passione che ha sempre avuto?
«Sì. Da sempre per la lettura, ma anche per la scrittura. Però mi sono sentito pronto a cimentarmi in un romanzo, un percorso lungo che richiede mesi per arrivare alla fine, soltanto a cinquant’anni».
Ma già come lettore guardava al genere giallo e noir che poi ha sviluppato come autore?
«In verità no. Sono sempre stato appassionato soprattutto di classici e di saggi storici. Probabilmente perché non conoscevo bene le possibilità narrative che questo genere offre. Avevo un’idea del giallo e del noir canonica. Quella del giallo classico di Agatha Christie, di Simenon. Poi avvicinandomi a questo mondo mi sono reso conto che esistono tante altre possibilità e miscele. Che nel noir si può mettere storia, politica, che questo genere può diventare il pretesto per parlare di problemi sociali, di tematiche esistenziali. Ed è questa un po' la strada che ho preso. Cerco di caratterizzare i miei romanzi per questo aspetto umano, di riflessione, di denuncia sociale su certi temi».
Quanto porta della sua attività di poliziotto, della conoscenza di quel mondo e delle tecniche investigative in quello che scrive?
«Sicuramente 27 anni di attività professionale in questo settore mi aiutano. Altri autori, anche di successo, hanno bisogno di far riferimento a dei consulenti esterni per conoscere le dinamiche, se vogliono rimanere ancorati a qualcosa di verosimile. A me invece viene naturale. Basta attingere alla memoria per ricreare quelle atmosfere, per riportarne nell’azione quel senso di verità che caratterizza i miei romanzi».
Attinge anche dai casi di cui si è occupato?
«Questo no. C’è una deontologia professionale da seguire. Le situazioni e le vittime sono inventate. Però le modalità, l’approccio alla scena del crimine, il modo di parlarsi tra operatori, tutto questo invece viene dalla realtà».
Insieme all’atmosfera in un libro di questo genere diventa importante creare dei personaggi che conquistino i lettori. Quali sono le caratteristiche del suo commissario Casabona?
«Una profonda umanità nascosta dietro un necessario cinismo che diventa uno strumento di protezione, per sopravvivere a quel tipo di lavoro. Un atteggiamento cinico, burbero, oltrepassato il quale si ha a che fare con un uomo normale, con problemi familiari come tanti, che si rapporta alle cose esistenziali come molti altri. Il personaggio viene narrato in questa dimensione globale».
Un poliziotto diverso dal Biagio Mazzeo di Piergiorgio Pulixi con il quale sarà impegnato negli incontri di Florinas e Alghero. Lo scrittore sardo racconta della corruzione nella polizia. Ha mai pensato di parlarne nei suoi libri?
«Non solo Pulixi che conosco bene. C’è una sorta di scuola di quel tipo di noir, penso anche personaggi di successo come Rocco Schiavone dei romanzi di Manzini. Un personaggio borderline. Io non ci ho mai pensato. Ho iniziato a scrivere partendo dalla realtà e la realtà che mi circonda è quella che porto nei libri: non ci sono poliziotti che fumano hashish,che fanno estorsioni o altro. Almeno nella realtà che conosco io. Poi ovviamente in una organizzazione che conta 95mila persone, può capitare qualcuno che marcia male. E generalmente siamo noi stessi che facciamo pulizia al nostro interno».
Un caso del genere è salito alla ribalta della cronaca a Sassari, proprio in questi giorni.
«Non so se le accuse nei confronti di questi dipendenti della polizia di Stato porteranno a delle condanne o meno. Però in linea generale posso dire che se c’è qualcuno che marcia male al nostro interno, il fatto che venga individuato e messo in condizioni di non nuocere è sempre un fatto positivo. Dimostra che l’organizzazione non si preoccupa della ricaduta sull’immagine di certe notizie e ha un’efficace pulizia interna per queste piccole infezioni».