La Nuova Sardegna

“Porrajmos”, lo sterminio fascista di rom e sinti porta a Perdasdefogu

di Daniela Paba
“Porrajmos”, lo sterminio fascista di rom e sinti porta a Perdasdefogu

In un incontro a Oristano lo storico Luca Bravi ricostruisce le tappe del genocidio degli zingari Tra il 1938 e il 1942 nel lager ogliastrino furono raccolte le famiglie rastrellate in Istria e Trentino

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ORISTANO. Porrajmos, in lingua romaní, significa “devastazione” ed è la parola che ricorda la shoa dei popoli rom e sinti messa in atto dal nazifascismo, ma dimenticata e quasi nascosta tra le pieghe della Storia e quelle del pregiudizio. A ricostruire la persecuzione dei rom, in cui anche la Sardegna ha la sua parte, è arrivato a Oristano, invitato da Giuseppe Manias della Biblioteca gramsciana, Luca Bravi, ricercatore universitario di Firenze, che a questo tema ha dedicato diverse pubblicazioni e un lungo lavoro d’archivio.

Bravi haricostruito le persecuzioni che hanno colpito i rom in Italia e in Germania quando Mussolini e Hitler intensificano le loro politiche razziste. Tra il 1922 e il 1938 l’Italia attua una politica di respingimenti ed espulsioni di quelli che, in modo offensivo, si chiamano zingari: famiglie di circensi e giostrai che attraversano l’Europa, perseguitando così tutti quelli che avevano un aspetto “zingaresco”. Tra il 1938 e il 1940 le “leggi per la difesa della razza” dispongono che medici e antropologi siano chiamati a dare la patente di scientificità alle “tare” dei rom, altrimenti di origine ariana. Si stabilisce così che i rom sarebbero geneticamente affetti da asocialità e nomadismo, e per di più meticci.

Tanto basta perché tra il 1938 e il 1942 l’Istria e il Trentino siano chiamati a fare pulizia etnica delle famiglie rom residenti nei loro confini. Solerti i prefetti organizzano il censimento delle famiglie rom e ne stabiliscono il trasferimento, al confino, in Sardegna dove verranno organizzati dei campi di concentramento a loro dedicati. Scopriamo così che a Perdasdefogu esisteva un campo di concentramento per rom e sinti, dove le famiglie vivranno internate, quindi dimenticate alla fine della guerra. A raccontarlo sono i sopravvissuti come Rosa Raidich, i report della polizia, le richieste di restituzione di documenti distrutti che arrivano negli anni Sessanta alla questura di Nuoro.

Sorte analoga toccherà ai rom internati ad Agnone in Abruzzo: quando nel 1943 crolla il fascismo, gli internati fuggono. Alcuni di loro si uniscono alla guerra di liberazione partigiana, come nell’attentato al Ponte dei Marmi di Vicenza, fatto saltare dai partigiani – che poi verranno catturati e uccisi – per impedire il passaggio di un treno carico di armi. Altri sono arrestati dalle milizie di di Salò e spediti a Dachau.

La storia delle persecuzioni rom in Germania è molto più efferata e dolorosa: dal 1933 inizia una politica di sterilizzazione forzata delle donne di etnia rom. Nel 1942 nel campo di concentramento di Auschwitz il settore riservato agli zingari, chiamato B2E, era affianco al laboratorio di Josef Mengele. Il loro numero di matricola era preceduto dalla Z di zingari e nel campo ne sono stati uccisi 23.000. I loro nomi sono arrivati a noi raccolti in un registro, sotterrato prima della liberazione da un politico polacco anche lui prigioniero, responsabile della contabilità, e recuperato dopo la guerra. La notte del 2 agosto 1944, ad Auschwitz avviene la liquidazione di 3.000 rom. Gli ebrei, testimoni oculari, raccontano che capirono allora cosa fosse lo sterminio: il vuoto improvviso nel settore rom e il fuoco incessante dalle ciminiere.

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