Florenskij, un maestro riscoperto
di Daniela Paba
Due giorni di studi a Cagliari a 80 anni dalla morte dello scienziato e mistico russo
24 ottobre 2017
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CAGLIARI. Matematico e teologo, fisico e storico dell’arte, ingegnere elettrico, filosofo e mistico, Pavel Florenskij, il Pascal russo, ha unito i contrari e per questa libertà è stato ucciso nel 1937.
Negli ottant’anni dalla morte, l’Università di Cagliari e la Facoltà Teologica gli dedicano due giornate di studi – 25 e 26 ottobre, a Sa Duchessa – dal titolo “Pavel Florenskij oltre Amleto”. Nell’interdisciplinarietà di Florenskij si cerca “una risposta alle sfide del presente” lungo tre direttrici: il superamento delle antinomie, cioè delle contraddizioni (apparenti o reali che siano), il dialogo interreligioso con la Chiesa ortodossa, una visione della crisi come opportunità.
Tra gli ospiti ci saranno Nikolaj N. Pavljuchenkov, Lubomir Žák, Oleg V. Marchenko, Vladislav A. Shaposhnikov, il vescovo di Oristano Monsignor Ignazio Sanna, lo psicanalista brasiliano Gilberto Safra, Natalino Valentini e Vincenzo Rizzo e ancora Silvano Tagliagambe, docente di Filosofia della Scienza che qui spiega l’importanza di Florenskij e del suo “pensiero polifonico”.
La prima cosa che colpisce di Florenskij è la sua storia personale. La può raccontare in breve?
«Appena laureato in matematica alla scuola di Bulgaev, Florenskij aveva davanti la carriera universitaria e invece diventa prete ortodosso ma non rinuncia a occuparsi di scienza e tecnologia. S’interessa d’ingegneria elettrica al punto che verrà chiamato da Lenin a far parte del team che avrebbe realizzato l’elettrificazione della Russia a cui si presentava sempre in abito talare. Studia le icone e diventa uno dei massimi esperti di storia dell’arte. Collabora alla Grande Enciclopedia sovietica della tecnica per la quale scrive molte voci. Quando a Lenin succede Stalin il quadro cambia rapidamente: Florenskij comincia ad essere guardato con sospetto, i suoi amici espatriano in Francia ma lui rifiuta: “Voglio contribuire alla crescita culturale del mio paese”. Così viene arrestato e subisce un primo processo in seguito al quale viene liberato per intervento della moglie di Gorkij. Verrà imprigionato e spedito in Siberia. Nel 1937 viene fucilato in un bosco vicino a Leningrado. La famiglia non verrà neanche informata e soltanto in anni recenti è stato pubblicato il certificato di morte».
Il lungo oblio e la riscoperta sono forse un segno del bisogno di mettere insieme analisi della realtà e senso del mistero come esperienza?
«La cosa interessante di Florenskij da un punto di vista filosofico sta nella valorizzazione dell’antinomia e dell’ambiguità. L’ambiguità viene considerata ancora oggi una sorta d’incrinatura del pensiero razionale, qualcosa da eliminare dal campo scientifico. L’antinomia era considerata una contraddizione in termini che il discorso scientifico non poteva tollerare. Lui invece, a partire dallo studio di Amleto nel 1905, mette in rilievo il blocco paralizzante di “essere o non essere”, vendicare il padre o indugiare nell’attesa. Florenskij si chiede “E’ l’unico sbocco possibile dell’antinomia?”. La sua risposta negativa è basata su un’analisi molto raffinata dell’uomo: un essere bifronte, profondamente antinomico per sua natura. Con i piedi piantati per terra e lo sguardo verso il cielo. L’uomo per realizzarsi compiutamente deve saper combinare senso della realtà e senso della possibilità altrimenti sarebbe condannato alla rassegnazione. Questa duplicità si esprime nell’antinomia tra percezione e immaginazione, l’uomo deve nutrire la sua percezione della realtà con l’immaginazione altrimenti non riuscirebbe a esprimere un pensiero progettuale.
D’altra parte la conoscenza scientifica, la risorsa migliore di cui l’uomo possa disporre, prospera nel disordine. Quando si trova di fronte a situazioni di crisi e ci sono due teorie contrastanti che si fronteggiano la scienza non esce mai paralizzata ma riesce a trovare una via d’uscita e a far crescere la conoscenza. Da questo quadro Florenskij fa emergere la sua idea della verità come antinomica: la razionalità non potrebbe avanzare se non si nutrisse dell’intuizione e questo gli permette di conciliare ragione e fede».
Negli ottant’anni dalla morte, l’Università di Cagliari e la Facoltà Teologica gli dedicano due giornate di studi – 25 e 26 ottobre, a Sa Duchessa – dal titolo “Pavel Florenskij oltre Amleto”. Nell’interdisciplinarietà di Florenskij si cerca “una risposta alle sfide del presente” lungo tre direttrici: il superamento delle antinomie, cioè delle contraddizioni (apparenti o reali che siano), il dialogo interreligioso con la Chiesa ortodossa, una visione della crisi come opportunità.
Tra gli ospiti ci saranno Nikolaj N. Pavljuchenkov, Lubomir Žák, Oleg V. Marchenko, Vladislav A. Shaposhnikov, il vescovo di Oristano Monsignor Ignazio Sanna, lo psicanalista brasiliano Gilberto Safra, Natalino Valentini e Vincenzo Rizzo e ancora Silvano Tagliagambe, docente di Filosofia della Scienza che qui spiega l’importanza di Florenskij e del suo “pensiero polifonico”.
La prima cosa che colpisce di Florenskij è la sua storia personale. La può raccontare in breve?
«Appena laureato in matematica alla scuola di Bulgaev, Florenskij aveva davanti la carriera universitaria e invece diventa prete ortodosso ma non rinuncia a occuparsi di scienza e tecnologia. S’interessa d’ingegneria elettrica al punto che verrà chiamato da Lenin a far parte del team che avrebbe realizzato l’elettrificazione della Russia a cui si presentava sempre in abito talare. Studia le icone e diventa uno dei massimi esperti di storia dell’arte. Collabora alla Grande Enciclopedia sovietica della tecnica per la quale scrive molte voci. Quando a Lenin succede Stalin il quadro cambia rapidamente: Florenskij comincia ad essere guardato con sospetto, i suoi amici espatriano in Francia ma lui rifiuta: “Voglio contribuire alla crescita culturale del mio paese”. Così viene arrestato e subisce un primo processo in seguito al quale viene liberato per intervento della moglie di Gorkij. Verrà imprigionato e spedito in Siberia. Nel 1937 viene fucilato in un bosco vicino a Leningrado. La famiglia non verrà neanche informata e soltanto in anni recenti è stato pubblicato il certificato di morte».
Il lungo oblio e la riscoperta sono forse un segno del bisogno di mettere insieme analisi della realtà e senso del mistero come esperienza?
«La cosa interessante di Florenskij da un punto di vista filosofico sta nella valorizzazione dell’antinomia e dell’ambiguità. L’ambiguità viene considerata ancora oggi una sorta d’incrinatura del pensiero razionale, qualcosa da eliminare dal campo scientifico. L’antinomia era considerata una contraddizione in termini che il discorso scientifico non poteva tollerare. Lui invece, a partire dallo studio di Amleto nel 1905, mette in rilievo il blocco paralizzante di “essere o non essere”, vendicare il padre o indugiare nell’attesa. Florenskij si chiede “E’ l’unico sbocco possibile dell’antinomia?”. La sua risposta negativa è basata su un’analisi molto raffinata dell’uomo: un essere bifronte, profondamente antinomico per sua natura. Con i piedi piantati per terra e lo sguardo verso il cielo. L’uomo per realizzarsi compiutamente deve saper combinare senso della realtà e senso della possibilità altrimenti sarebbe condannato alla rassegnazione. Questa duplicità si esprime nell’antinomia tra percezione e immaginazione, l’uomo deve nutrire la sua percezione della realtà con l’immaginazione altrimenti non riuscirebbe a esprimere un pensiero progettuale.
D’altra parte la conoscenza scientifica, la risorsa migliore di cui l’uomo possa disporre, prospera nel disordine. Quando si trova di fronte a situazioni di crisi e ci sono due teorie contrastanti che si fronteggiano la scienza non esce mai paralizzata ma riesce a trovare una via d’uscita e a far crescere la conoscenza. Da questo quadro Florenskij fa emergere la sua idea della verità come antinomica: la razionalità non potrebbe avanzare se non si nutrisse dell’intuizione e questo gli permette di conciliare ragione e fede».