Raffaello spiegato da Sgarbi: «Un genio che amava le donne e Piero della Francesca»
di Paolo Curreli
Il critico: «È stato sempre amato perché rappresenta l’armonia e il bello Spero di riuscire a portare il mio spettacolo su di lui anche in Sardegna»
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SASSARI. Nell’anno dedicato ai 500 anni dalla morte Raffaello continua ad essere il Principe delle arti. Hanno superato quota 10mila le prenotazioni nelle prime 48 ore di prevendita della mostra-evento “Raffaello”, che aprirà il prossimo 5 marzo alle Scuderie del Quirinale a Roma, che si configura come la più grande rassegna dedicata ad un artista mai realizzata in Italia. Un avvio eccezionale con richieste provenienti da tutto il mondo: Corea, Giappone, Stati Uniti e da tutti i paesi europei. La mostra si annuncia tra quelle che meritano un viaggio ad hoc per visitare Roma. I visitatori potranno ammirare 200 capolavori provenienti da tutto il mondo, 50 dei quali frutto della proficua collaborazione con gli Uffizi di Firenze.
Amato da sempre. Il perché di questo amore senza confini di tempo e spazio lo spiega Vittorio Sgarbi, che all’artista di Urbino ha anche dedicato l’anno scorso un lavoro teatrale. Ultimo di una tetralogia intitolata a Caravaggio, Michelangelo e Leonardo. «Raffaello Sanzio è grande perché è il pittore dell’armonia, della proporzione e del bello. Obiettivo perseguito, ma non pienamente raggiunto, anche da Mantegna e da Perugino che fu il suo maestro, insieme a suo padre Giovanni de Santi, artista mediocre, ma che fu il primo ad insegnargli i rudimenti di pittura e disegno – spiega lo storico e critico d’arte –. Obiettivo che raggiunse perché nato in un luogo centrale nel Rinascimento: Urbino. Città dove già da bambino poteva ammirare, proprio perché figlio di un pittore che aveva accesso a Palazzo Ducale, le opere di Francesco di Giorgio Martini, Melozzo da Forlì, Pedro Berreguete, e la grandissima lezione, fondamentale per lui, di Piero della Francesca».
Lui e gli altri grandi. Ma qual è il rapporto di Raffaello (nato nel 1483) con gli altri talenti a cui Vittorio Sgarbi ha dedicato i suoi monologhi-lezione a teatro? Leonardo che era più anziano di lui (nato nel 1452), Michelangelo più grande di otto anni (1475) e con Caravaggio che morirà 90 anni dopo la scomparsa del pittore di Urbino? «Raffaello è più grande di tutti, più di Leonardo e Michelangelo, una figura più complessa e compiuta, più articolata – dichiara Sgarbi con decisione –. Michelangelo considerava un dilettante Leonardo, un artista senza committenti, incapace di portare a termine qualsiasi lavoro. Non capisce il suo genio, che non è pittorico ma concettuale. Invece quando il giovanissimo Raffaello si reca a Firenze nello studio di Leonardo e vede la Gioconda per lui è una vera e propria rivelazione. Comprende che quello non è il ritratto di una donna ma di tutte le donne del mondo. Da Michelangelo Raffaello prende la pesantezza del cadavere della Pietà, il braccio abbandonato e cadente della Pala Baglioni. Ma nella sua pittura c’è già Caravaggio nello splendido controluce della “Liberazione di San Pietro” delle Stanze vaticane. La pittura si fa già teatro, azione. E quell’affresco Caravaggio lo vide sicuramente».
Per Vittorio Sgarbi il seme del futuro genio lo pone la visione “sotto casa” della lezione di Piero della Francesca. «È lui, non Perugino (che fu allievo di Piero), il vero maestro di Raffaello che coglie la sua lezione fatta di geometria, di prospettiva, uno spazio non umano ma divino, e si fa invadere da questa idea. È chiaro che Raffaello vide opere come la “Flagellazione” di Urbino: pura prospettiva o la Pala d’altare (o di Montefeltro oggi a Brera) con il suo spazio reale, invece che il fondo oro medievale, una luce che cade dall’alto e l’ombra che crea l’effetto di profondità. Nella “Scuola d’Atene” il dipinto più importante del mondo, Raffaello moltiplica questa idea di spazialità, la sua arte parte da questo».
Le sue passioni. Enfant prodige, principe e genio amante delle donne. Chi era questo ragazzo morto a 37 anni, per Vittorio Sgarbi, e cosa avrebbe fatto se avesse vissuto più a lungo?
«Era un uomo che dedicò tutta la sua vita a due passioni inestinguibili: l’arte e le donne – conferma con una certa complicità lo storico dell’arte –. Agostino Chigi organizzò un pied a terre con tante ragazze per non far perdere tempo al pittore che lavorava nella sua villa. Per lui vale la legge di molti artisti morti giovani, come Mozart, Toulouse-Lautrec o Domenico Gnoli, spiegata bene da Baudelaire: “Si dice che ho trent’anni; ma se ho vissuto tre minuti in uno, non ho forse novant’anni?”. La sua morte non ha rappresentato un’interruzione, la sua parabola, per quanto breve, aveva raggiunto un punto di arrivo altissimo. Esattamente come il “Requiem” per Mozart». C’è poi “l’artista che vinse la natura”. «Quel traguardo fu visto come il massimo livello mai raggiunto, a cui bisognava fare riferimento, è così nacque il Manierismo: ispirarsi alla sua maniera e a quella di Michelangelo – precisa Vittorio Sgarbi –. La sua lezione è arrivata fino alla modernità, con Baltus e De Chirico per esempio. In Sardegna il Maestro di Ozieri, un grande artista, conosce l’opera di Raffaello e si ispira al Rinascimento di oltre Tirreno e alla pittura nordica. Comunque questa capacità di Raffaello di capire la natura, intuire la realtà, la ritrovo molto forte anche in un genio di oggi come Steve Jobs».
Lo spettacolo in Sardegna. La speranza è che queste lezioni-spettacolo di Sgarbi – accompagnate dalle musiche di Valentino Corvino – dopo aver girato i maggiori teatri della Penisola arrivino pure in Sardegna. «Fino adesso, da quanto posso sapere, non abbiamo ricevuto richieste. Mi dispiace molto, amo la Sardegna, mi avete eletto in parlamento, una delle cose per cui vado più fiero è la riscoperta di tanti grandi artisti sardi (fra tutti Brancaleone da Romana) che considero davvero importanti e per niente provinciali. Alla collezione De Montis ho dedicato un mostra al Mart di Rovereto. Spero che questa intervista per la Nuova crei interesse anche per lo spettacolo».
Amato da sempre. Il perché di questo amore senza confini di tempo e spazio lo spiega Vittorio Sgarbi, che all’artista di Urbino ha anche dedicato l’anno scorso un lavoro teatrale. Ultimo di una tetralogia intitolata a Caravaggio, Michelangelo e Leonardo. «Raffaello Sanzio è grande perché è il pittore dell’armonia, della proporzione e del bello. Obiettivo perseguito, ma non pienamente raggiunto, anche da Mantegna e da Perugino che fu il suo maestro, insieme a suo padre Giovanni de Santi, artista mediocre, ma che fu il primo ad insegnargli i rudimenti di pittura e disegno – spiega lo storico e critico d’arte –. Obiettivo che raggiunse perché nato in un luogo centrale nel Rinascimento: Urbino. Città dove già da bambino poteva ammirare, proprio perché figlio di un pittore che aveva accesso a Palazzo Ducale, le opere di Francesco di Giorgio Martini, Melozzo da Forlì, Pedro Berreguete, e la grandissima lezione, fondamentale per lui, di Piero della Francesca».
Lui e gli altri grandi. Ma qual è il rapporto di Raffaello (nato nel 1483) con gli altri talenti a cui Vittorio Sgarbi ha dedicato i suoi monologhi-lezione a teatro? Leonardo che era più anziano di lui (nato nel 1452), Michelangelo più grande di otto anni (1475) e con Caravaggio che morirà 90 anni dopo la scomparsa del pittore di Urbino? «Raffaello è più grande di tutti, più di Leonardo e Michelangelo, una figura più complessa e compiuta, più articolata – dichiara Sgarbi con decisione –. Michelangelo considerava un dilettante Leonardo, un artista senza committenti, incapace di portare a termine qualsiasi lavoro. Non capisce il suo genio, che non è pittorico ma concettuale. Invece quando il giovanissimo Raffaello si reca a Firenze nello studio di Leonardo e vede la Gioconda per lui è una vera e propria rivelazione. Comprende che quello non è il ritratto di una donna ma di tutte le donne del mondo. Da Michelangelo Raffaello prende la pesantezza del cadavere della Pietà, il braccio abbandonato e cadente della Pala Baglioni. Ma nella sua pittura c’è già Caravaggio nello splendido controluce della “Liberazione di San Pietro” delle Stanze vaticane. La pittura si fa già teatro, azione. E quell’affresco Caravaggio lo vide sicuramente».
Per Vittorio Sgarbi il seme del futuro genio lo pone la visione “sotto casa” della lezione di Piero della Francesca. «È lui, non Perugino (che fu allievo di Piero), il vero maestro di Raffaello che coglie la sua lezione fatta di geometria, di prospettiva, uno spazio non umano ma divino, e si fa invadere da questa idea. È chiaro che Raffaello vide opere come la “Flagellazione” di Urbino: pura prospettiva o la Pala d’altare (o di Montefeltro oggi a Brera) con il suo spazio reale, invece che il fondo oro medievale, una luce che cade dall’alto e l’ombra che crea l’effetto di profondità. Nella “Scuola d’Atene” il dipinto più importante del mondo, Raffaello moltiplica questa idea di spazialità, la sua arte parte da questo».
Le sue passioni. Enfant prodige, principe e genio amante delle donne. Chi era questo ragazzo morto a 37 anni, per Vittorio Sgarbi, e cosa avrebbe fatto se avesse vissuto più a lungo?
«Era un uomo che dedicò tutta la sua vita a due passioni inestinguibili: l’arte e le donne – conferma con una certa complicità lo storico dell’arte –. Agostino Chigi organizzò un pied a terre con tante ragazze per non far perdere tempo al pittore che lavorava nella sua villa. Per lui vale la legge di molti artisti morti giovani, come Mozart, Toulouse-Lautrec o Domenico Gnoli, spiegata bene da Baudelaire: “Si dice che ho trent’anni; ma se ho vissuto tre minuti in uno, non ho forse novant’anni?”. La sua morte non ha rappresentato un’interruzione, la sua parabola, per quanto breve, aveva raggiunto un punto di arrivo altissimo. Esattamente come il “Requiem” per Mozart». C’è poi “l’artista che vinse la natura”. «Quel traguardo fu visto come il massimo livello mai raggiunto, a cui bisognava fare riferimento, è così nacque il Manierismo: ispirarsi alla sua maniera e a quella di Michelangelo – precisa Vittorio Sgarbi –. La sua lezione è arrivata fino alla modernità, con Baltus e De Chirico per esempio. In Sardegna il Maestro di Ozieri, un grande artista, conosce l’opera di Raffaello e si ispira al Rinascimento di oltre Tirreno e alla pittura nordica. Comunque questa capacità di Raffaello di capire la natura, intuire la realtà, la ritrovo molto forte anche in un genio di oggi come Steve Jobs».
Lo spettacolo in Sardegna. La speranza è che queste lezioni-spettacolo di Sgarbi – accompagnate dalle musiche di Valentino Corvino – dopo aver girato i maggiori teatri della Penisola arrivino pure in Sardegna. «Fino adesso, da quanto posso sapere, non abbiamo ricevuto richieste. Mi dispiace molto, amo la Sardegna, mi avete eletto in parlamento, una delle cose per cui vado più fiero è la riscoperta di tanti grandi artisti sardi (fra tutti Brancaleone da Romana) che considero davvero importanti e per niente provinciali. Alla collezione De Montis ho dedicato un mostra al Mart di Rovereto. Spero che questa intervista per la Nuova crei interesse anche per lo spettacolo».