Serra Yilmaz: «La violenza è sempre un segno di impotenza»
L’attrice turca in Sardegna sul set del nuovo film di Giovanni Coda
«Le fate ignoranti? Ero scettica ma Ozpetek non delude mai»
Quando risponde al telefono la sua voce ti catapulta subito in una di quelle grandi terrazze romane affollate di piatti e di gente rese famose dai film di Ozpetek. Il suo accento, i suoi modi di fare, la sua ironia sono gli stessi dell’amministratrice del palazzo delle “fate ignoranti”. In questi giorni Serra Yilmaz è a Cagliari sul set del film “La sposa nel vento”, ultimo capitolo della trilogia di genere firmata da Giovanni Coda: non solo interprete ma anche voce narrante.
Serra, è il suo primo film girato in Sardegna.
«Ma è la terza volta che vengo nell’isola. La prima nel 2001 per ritirare il Ciak d’oro per “Le fate ignoranti” al festival di Tavolara. Poi sono tornata tre anni fa a teatro con “Don Chisciotte”. E ora sono qui per il film di Giovanni».
Cosa l’ha spinta a dire sì a Coda?
«La prima cosa che mi ha convinta è l’argomento, a cui sono molto sensibile. E a cui tutti dovremmo essere sensibili, visto che solo nelle ultime ore ci sono stati tre femminicidi. Io non conoscevo Giovanni, ci ha messi in contatto un amico comune. Ho visto il suo lavoro, mi è piaciuto, poi ci siamo parlati, mi ha spiegato il soggetto e ho accettato».
Il film è un racconto di storie di discriminazione e violenza avvenute nel Novecento. Un tema che purtroppo è ancora oggi di stretta attualità.
«La violenza, a meno che non si tratti di autodifesa se qualcuno ti aggredisce, è sempre un segno di impotenza. Nella nostra società c’è troppa violenza. Io, per esempio, proibirei tutti i videogiochi in cui si uccide, si picchia. Sono allenamenti alla violenza. Purtroppo è un ambito non abbastanza controllato. Ma c’è anche un altro aspetto...».
E cioè?
«Prima le donne erano sottomesse, dopo che hanno iniziato a conquistare spazi sono nati i problemi, perché gli uomini non capiscono l’evoluzione e non sono strutturati per farlo. Cresciuti da mamme mammone che li crescono come re dell’universo: per loro il figlio è perfetto. Il mio motto invece è: non dire a tua figlia di vestirsi meno provocante, ma educa tuo figlio a comportarsi da essere umano».
Quando ha capito che la sua strada era quella recitazione?
«Molto presto. Fin da bambina sono stata una spettatrice molto assidua. Mio padre è stato uno primi critici in Turchia, ha fondato la Cineteca e ne è stato il presidente. Mia madre era una grande appassionata. A 3-4 anni mi portavano in sala a vedere anche film che erano più per adulti (ride, ndr). Il mio sogno era soprattutto il teatro, il cinema no. Tanto che quando nel 1987 mi ritrovai a Venezia per un film turco in competizione ero allibita».
Quando è arrivata in Italia?
«Ho avuto la fortuna di avere amici franco-italiani che mi hanno portato per la prima volta a 11 anni a Firenze. Però ci vivo da soli cinque».
Il primo incontro con Ferzan Ozpetek?
«In Francia alla Settimana del cinema turco nel 1997, lui presentava “Il bagno turco”. Mi disse: “vorrei lavorare con te”. Io non ci ho creduto. Era dicembre. A febbraio mi ha chiamata per “Harem Suare”».
Cosa prova quando la definiscono la musa di Ozpetek?
«È scocciante e riduttivo. Per me e per lui».
Come è stato rifare le “Fate ignoranti” vent’anni dopo?
«Ero molto scettica sul riprendere un film cult e farne qualcos’altro. Ma alla fine non sono per niente delusa. Quando Ferzan ha portato il copione ho capito subito che avrebbe funzionato. È stato molto bello anche perché il set del film era stato uno dei più felici che ho conosciuto. Molti colleghi del primo avrebbero voluto esserci».
Crede che i film di Ozpetek abbiano avuto un ruolo nelle lotte della comunità Lgbt?
«Sì, e anche molto. Soprattutto “Le fate ignoranti”: quando è uscito è stato molto innovativo, ha dato una spinta a tanti che vivevano la loro differenza in modo clandestino, che non avevano coraggio di fare coming out».
Una sua grande passione è la cucina, ha fatto anche Celebrity Masterchef: una ricetta per i lettori della Nuova?
«Un piatto primaverile a base di agnello, visto che in Sardegna ce ne sono tanti. Bisogna prendere lattuga romana, aglio fresco, cipollotti, foglie di vite, un po’ di rucola. Poi grigliare i pezzi di carne e farli girare in padella con spicchi d’aglio. Fare diversi strati di verdura e carne. Sull’ultimo mettere un mazzo di menta fresca e spremere un limone intero. Infine a fuoco lento per 3-4 ore senza aggiungere acqua. È un piatto gustosissimo».
Un’ultima cosa: ma quelle tavolate ricche di pietanze e persone attorno tra i tetti di Roma esistono davvero?
«Certo, anche a casa mia ho sempre tante provviste. Se arrivassero tre o quattro persone sarei sempre in grado di fare un pranzo o una cena. L’ospitalità è meravigliosa».