La Nuova Sardegna

L’intervista

Luca Barbarossa: «Vinsi Sanremo grazie a Morandi, oggi manca una forza di sinistra»

di Alessandro Pirina
Luca Barbarossa: «Vinsi Sanremo grazie a Morandi, oggi manca una forza di sinistra»

Il cantautore si racconta: «Chi voto? Mai stato così in imbarazzo»

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Le sue parole hanno raccontato «i tetti di Roma», gli «amori rubati», l’Italia degli anni Ottanta «un po’ americana, sempre meno contadini sempre più figli di puttana», la mamma e «quei balli antichi che nessuno sa fare più». Le parole sono il comune denominatore della carriera di Luca Barbarossa, da cantante, autore, conduttore radiofonico. E proprio le parole saranno al centro della conversazione con il vescovo di Nuoro e Lanusei, monsignor Antonello Mura, in programma domani sera a Tortolì, all’interno della Pastorale del turismo.

Barbarossa, è la prima volta che incontra un alto prelato?
«Una volta ho suonato per Papa Francesco. Persone vicine a lui mi avevano contattato per una mia canzone, “Luce”, che parla di migranti e bambini, e mi esibii sul sagrato di piazza San Pietro. Non sono un credente, ma le persone che dedicano la vita agli altri mi interessano a prescindere, indipendentemente dai miei orientamenti. E credo che anche quello di Tortolì sarà un incontro stimolante, voluto e cercato dal vescovo».

Ha iniziato come musicista di strada, oggi ha 61 anni: cosa è rimasto di quel ragazzino che suonava in piazza Navona?
«Sono ancora qui. Vado sempre in giro, non più per strada, ma su palchi bellissimi. Sono stato fortunato, anche se già mi divertivo per strada. Ho realizzato quello che volevo fare».

Nel suo libro, “Non perderti niente”, racconta la seconda metà degli anni Settanta: ai tempi per un 16enne era più facile perdersi o salvarsi?
«Purtroppo per un 16enne perdersi è facile in ogni epoca storica. Anche questa non scherza! L’importante è avere sempre la famiglia che ti sostenga, che si accorga delle tue inquietudini. Io ho attraversato momenti difficili, ma probabilmente avevo una solidità interiore che mi ha tenuto lontano dai pericoli più forti, che ai tempi erano l’eroina - quanti amici ho perso - e la lotta armata. Due tentazioni che non ho mai avuto grazie ai valori che mi avevano saputo trasmettere i miei genitori».

Primo segretario della Fgci di Mentana. Il cuore continua a battere a sinistra: come vede la situazione attuale?
«In Italia sento parlare di centrodestra e centrosinistra. Ma la sensazione è che esista una destra abbastanza estrema e non esista una sinistra. C’è un partito di centro con un orientamento moderatamente progressista. Una vera forza di sinistra non c’è».

Ha già deciso chi votare?
«Mai stato così in imbarazzo».

“Roma spogliata”, “Via Margutta”, “Passame er sale”. Come sta oggi la Capitale?
«Con Roma ho da sempre un rapporto complesso. Da una parte, un amore viscerale come tutti i romani hanno verso questa meraviglia di città. Dall’altra, una forte indignazione per come è bistrattata da noi stessi, ma anche dalle gestioni poco lungimiranti succedutesi negli anni. Roma è una capitale del mondo in cui però non si vuole cambiare mentalità. Si vuole solo spendere ma senza investire».

Nel 1988 terzo posto a Sanremo con “L’amore rubato”. Franca Rame la ringraziò.
«Per me fu determinante. I benpensanti della canzone classica ritenevano che certi temi a Sanremo non andassero trattati. Ma anche le frange più estreme del veterofemminismo sostenevano che un uomo non dovesse sfruttare le sofferenze femminili. Ma la mia intenzione, da maschio, era tutt’altra. Mi ero ispirato fortemente al monologo di Franca Rame sullo stupro subito da un gruppo di fascisti e criminali, mai presi, ma neanche mai cercati. Il telegramma suo e di Dario Fo fu più importante di un premio: nessuna più di lei aveva titolo di esprimersi».

Il 1988 è pure l’anno di “Yuppies”: che fine hanno fatto?
«Bella domanda (ride). Oggi non li distingui più, perché forse lo siamo diventati un po’ tutti. Ai tempi avevano la macchina col telefono, oggi abbiamo tutti un monopattino connesso».

Nel 1992 vinse Sanremo con “Portami a ballare”. È vero che Morandi e Dalla la convinsero che era la canzone giusta?
«Loro mi diedero una balla botta. Io ero molto contento di averla scritta, ma molto dubbioso se portarla a Sanremo. Festival più mamma era un binomio abbastanza pericoloso. Morandi e Dalla mi dissero che non dovevo avere dubbi. Io puntavo su un’altra, ma di fronte a pareri così autorevoli mi sono ricreduto».

Sua madre curava per Repubblica la rubrica delle lettere di Scalfari. Com’era il Direttore?
«Casa mia era la seconda redazione di Repubblica. Il mio patrigno era Giorgio Rossi. A casa nostra venivano un po’ tutti: Eugenio, Miriam Mafai, Pajetta, Paolo Guzzanti che imitava Pertini alla perfezione, Castaldo e Assante che erano i giovani. Serate bellissime in cui si cantava e io ero un po’ il menestrello del gruppo. Loro erano sempre i primi ad ascoltare le mie canzoni».

Ha scritto per Morandi, Mannoia, Turci, e anche per Pavarotti. Al Maestro passò anche la ricetta degli spaghetti alla Barbarossa: racconti.
«Scrissi un testo per lui, andammo a New York, ci invitò a casa sua. Era stato operato e aveva il problema di non gravare sull’anca. Era disperato di dovere rinunciare alla pasta. Allora suggerii al suo cuoco una ricetta completamente dietetica, senza soffritti, con aglio, pomodoro e basilico. Lui fu estremamente grato di questa soluzione».

Neri Marcorè è stato l’incontro della svolta?
«È stato un incontro fortunatissimo. Io ero un po’ di anni che cercavo una formula che andasse oltre il concerto. Neri è stata la persona giusta. Anche se ho creato un mostro: ora fa il cantante a tempo pieno (ride)».

Al Social club passano tutti. L’incontro più emozionante?
«Dalla, De Gregori, Morandi hanno sempre regalato puntate indimenticabili. Certo la prima volta che è entrato in studio James Taylor è stata una emozione indescrivibile. Il manager aveva detto: farà una sola canzone. Alla fine ne fece sei con il gruppo, di cui due duetti con me».

Capocannoniere della nazionale cantanti, sarà l’anno della Roma?
«Noi romanisti in estate siamo sempre fortissimi, bisogna vedere se superato il panettone siamo ancora in lizza».

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