La Nuova Sardegna

L'intervista

Fabio Testi: «Ho girato più di cento film ma si parla di me solo per i flirt»

Alessandro Pirina
Il premio alla carriera consegnato a Cagliari a Fabio Testi
Il premio alla carriera consegnato a Cagliari a Fabio Testi

L’attore si racconta: «Leone mi tagliò, Gabin un maestro di vita»

18 settembre 2022
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Il cinema è entrato casualmente nella sua vita. Aveva appena 15 anni quando ha cominciato a bazzicare sui set. Da allora sono passati diversi lustri, ma anche più di cento tra film e serie tv che lo hanno consacrato nel gotha del cinema italiano, e non solo. Una carriera che la Sardegna ha deciso di omaggiare con un riconoscimento speciale. A Cagliari al T Hotel, Fabio Testi, che il 2 agosto ha compiuto 81 anni, riceve il premio Alziator alla carriera, intitolato alla figura dello scrittore e giornalista cagliaritano. Una serata-omaggio, all’interno della sezione cinema voluta dal patron Maurizio Porcelli, con i successi di Testi raccontati attraverso un amarcord di emozioni, aneddoti, racconti e filmati.

Testi, un nuovo premio alla carriera: ogni tanto si ferma a stilare un bilancio di quello che ha fatto?

«Devo dire che sono stato fortunato, perché ho vissuto il momento più bello del cinema italiano. Dagli anni Settanta ai Novanta. Mi sono trovato nel posto giusto al momento giusto. Sono felicissimo di avere partecipato a quella che è una grande industria del nostro Paese».

Al cinema arriva come controfigura: che ricordo ha di quel primo approccio sul set?

«Io nasco sul lago di Garda e proprio a Peschiera avevano costruito una specie di Cinecittà galleggiante. C’erano anche dei galeoni e giravano film sui pirati. Io avevo 15-16 anni e per me e i miei amici ogni estate era un lavoretto continuo. Sul Garda venivano a girare da tutta Europa, dalla Francia, dalla Germania. Fecero anche le prime serie televisive in bianco e nero. Da lì poi, piano piano, mi sono ritrovato in quel di Roma».

Sergio Leone la vuole in “C’era una volta il west”, ma in fase di post produzione la sua parte viene tagliata: fa ancora male?

«Il ruolo mi fu tolto perché dopo i provini Leone si rese conto che il mio personaggio non legava con quelli di Charles Bronson ed Henry Fonda e così fu completamente eliminato. All’epoca Leone era il nostro mito e accettai di restare sul set come acrobata. Ma certo quella scelta mi fece male, anche se con il tempo le ferite si rimarginano».

L’incontro con Vittorio De Sica per “Il giardino dei Finzi Contini”: sente quell’Oscar anche un po’ suo?

«Un po’ sì, anche se lo devo tutto a De Sica. Lavorare con lui non comportò nessuna fatica o sforzo. Lui era un attore e dunque prima faceva su di sé qualsiasi ruolo: bambino, vecchio, vecchia. Noi dovevamo solo imitarlo».

Negli anni Settanta arriva il successo all’estero in film in cui affianca le attrici più brave e belle dell’epoca: da Charlotte Rampling a Romy Schneider, a Dominique Sanda. Com’era dividere il set con le star?

«All’inizio ero molto intimidito, diciamolo. Poi piano piano, lavorando all’estero, mi sono sciolto. Merito di Jean Gabin, con cui feci “Il commissario Le Guen e il caso Gassot”. Lui mi ha insegnato come ci si comporta sul set. Perché il cinema non è solo recitazione, ma sono anche i rapporti con il regista, con i produttori. Fino ad allora io ero poco più di un acrobata e conoscevo molto poco. Gabin è stato un maestro di vita».

È uno dei belli del cinema italiano dell’epoca come Giuliano Gemma, Franco Nero, Terence Hill: ha mai vissuto l’aspetto fisico come un handicap?

«All’inizio c’era la convinzione che uno dovesse essere per forza bello e scemo. Un giorno mi ribellai e dissi: “guardate che come ci sono i brutti e scemi ci sono anche i belli e intelligenti”. Uno senza professionalità e dedizione al lavoro non potrebbe di certo mai fare cento e passa film come ho fatto io».

Nel 1984 gira a Porto Rotondo “Giochi d’estate” con Corinne Clery e Massimo Ciavarro: che ricordi ha di quel set?

«Esperienza bellissima. Conoscevo la Sardegna come terra di vacanza, ma in quella occasione scoprii che anche sotto l’aspetto lavorativo ci si divertiva parecchio. Fu un film divertente, leggero ed ebbi l’opportunità di passare due mesi nell’isola».

Il legame con la Sardegna?

«Ci torno sempre molto volentieri. Lo considero un piccolo paradiso terrestre. Sardegna vuole dire vacanza, bellezza, sapori, odori. È l’equivalente dell’esotico che tutti noi cerchiamo».

È stato candidato alle politiche e a sindaco di Verona: ha ancora ambizioni politiche?

«No assolutamente, ho chiuso. È stato un momento: Berlusconi mi aveva chiesto la cortesia di creare un mini partito a Verona alle comunali per evitare quanto accaduto qualche anno prima quando la sinistra aveva vinto per pochi voti. Io feci questo partitino ad hoc, ma non ce ne era bisogno perché ci fu un plebiscito per Tosi».

A Verona c’è stato un clamoroso ribaltone. Le piace Damiano Tommasi?

«Sì, è giovane, sportivo, non il classico vecchione della politica. Ha entusiasmo, voglia di fare. Credo molto in lui al di là del colore politico».

Lo ha votato?

«Sono residente a Roma».

Ha fatto l’Isola dei famosi e il Grande fratello vip sia in Italia che in Spagna: li rifarebbe?

«Certamente, stare a contatto con le persone h24 è bellissimo. Delle telecamere ci si dimentica subito e viene fuori la realtà e dunque chi è la persona. Io sono contento di mostrarmi come sono. Ho fatto cento e passa film, reality, ma ultimamente si parla di me solo per qualche flirt con donne famose (Ursula Andress, Charlotte Rampling, Anita Ekberg, Brooke Shields, Edwige Fenech, ndr). È normale che un attore abbia avuto storie con attrici, ma sinceramente essere ricordato, alla mia veneranda età, per i miei trascorsi da playboy mi sembra ridicolo».

Ha qualche rimpianto?

«Rifarei tutto ciò che ho fatto. Il cinema è importante, ma conta soprattutto la vita. Posso dire di avere dedicato il 51 per cento della vita a Fabio e il 49 a Fabio Testi uomo di spettacolo».

Il futuro di Fabio Testi?

«Sto portando in giro per l’Italia - oggi (ieri, ndr) sono a Lucca - un recital in cui leggo poesie d’amore di Neruda, Prévert, Garcia Lorca, accompagnato da suonatori di musica classica. È uno spettacolo destinato a un pubblico di nicchia per accarezzare il cuore e coccolare l’anima».
 

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