Francesco Di Leva: «Resto un panettiere che fa l’attore, Napoli è diventata la vera capitale d'Italia»
Due film al festival di Roma e una serie in arrivo su Rai 1: momento d’oro per l’interprete campano. «Sto costruendo la carriera che ho sempre voluto»
Non è un attore alle prime armi, il suo primo set è datato 1999, ma è negli ultimi anni che Francesco Di Leva è esploso. Oggi il suo nome è sinonimo di quel cinema italiano che funziona, di quei film che lasciano il segno, di quella Napoli che non cerca più il riscatto perché lo ha trovato da tempo. E dopo Cannes, Venezia ora è il turno di Roma, dove Di Leva, protagonista e sceneggiatore, ha presentato “La cura” di Francesco Patierno, in concorso, e nei prossimi giorni farà il bis con “I nostri ieri” di Andrea Papini.
Due film al festival di Roma, una serie su Rai 1, una quindicina di film negli ultimi tre anni: come può essere descritto questo momento della sua vita?
«Quando sento questi numeri mi sorprendo un po’, mi chiedo se forse non sto facendo un po’ troppo. L’unica risposta che posso dare è che sono al lavoro nella costruzione di una carriera che ho sempre voluto. Oggi sono felice perché posso scegliere le cose, ma continuo a sentirmi un artigiano che lavora su progetti».
“La cura”, adattamento di Patierno, Di Leva e Longo della Peste di Camus: può essere considerato il primo film sulla pandemia?
«In Italia, di quel genere, credo che sia il primo: nessuno ha mostrato all’esterno quel silenzio che c’è nella “Cura”. A Napoli nessuno ha girato film in quel periodo. Sono immagini di una potenza enorme, rivedendole ancora più forti di due anni fa. Abbiamo immortalato qualcosa che nessuno aveva mai fatto prima, qualcosa che non vedremo più, si spera almeno».
Con Patierno è stato un ritorno alle origini?
«Il nostro rapporto va avanti da “Pater familias”, ci siamo ritrovati in questo progetto comune in cui siamo anche coproduttori. Noi non vogliamo strizzare per forza l’occhio al box office, per quanto faccia piacere a tutti, ma ci piace anche dare la possibilità al pubblico di vedere cose coraggiose».
Ad Alice nella città presenterà “I nostri ieri” di Papini, altro ruolo da protagonista.
«Con Peppino Mazzotta e Daphne Scoccia. Nel film Papini mostra esattamente il suo io, la sua delicatezza, la sua fragilità. La sua poesia viene fuori nei dettagli: è un film semplice che fa capire che tutti siamo vulnerabili».
E dal 20 su Rai 1 “Vincenzo Malinconico, avvocato”, debutto nella serialità più leggera.
«Per un attore è bello ogni tanto fare anche sorridere. In questo caso l’elemento è molto forte, grazie ai libri di Diego De Silvia, mio carissimo amico. Con Massimiliano Gallo siamo quasi un duo comico. Volevo fare uno sberleffo alla camorra, a questi personaggi cattivi, malavitosi, che non sono altro che miserabili per i quali dovremmo soltanto ridere, conquistare pezzi di territorio e mandarli a quel paese».
Non crede che ultimamente sia cambiata in positivo la narrazione di Napoli?
«Sì, sì, finalmente sì! Io sono uno di quelli che ha spinto sull’acceleratore perché non ne potevamo più di quell’immagine di Napoli devastata, che però forse faceva gioco. Adesso sta esplodendo una Napoli nuova, ricca di emozioni. Penso a “Nostalgia”, “È stata la mano di Dio”, i film di Garrone, Andò, documentari che raccontano la vita delle famiglie di Secondigliano. Sono stracontento».
In che Napoli è cresciuto Francesco?
«Napoli è una città in cui ho avuto la fortuna di assistere a una trasformazione che mi ha visto in prima linea quando bisognava gridare contro ogni forma di ingiustizia, criminalità. Tutto questo è servito per il cambiamento, non solo da parte mia. In meno di 10 anni - non me ne voglia Roma - Napoli è diventata la vera capitale d’Italia».
Lei non ha mai abbandonato la sua città e il suo quartiere, San Giovanni a Teduccio.
«Il mio quartiere è il posto dove Apple ha creato il primo hub in Europa. Da poco è uscita una serie su Apple tv in cui a uno dei protagonisti chiedono: “di dove sei?”. E lui: “di San Giovanni a Teduccio”. Ecco, anch’io a Cannes sono stato fiero di dire: “sono di San Giovanni a Teduccio”».
Quando ha capito che voleva fare l’attore?
«Non l’ho capito io, l’hanno capito gli altri per me. È stato un seme che mi hanno iniettato quando avevo 14 anni e me lo sono portato dentro. E ho capito che dovevo riprodurlo nella mia comunità: Nest è un collettivo di artisti in cui riproponiamo la stessa cosa che è accaduta a me. Il nostro obiettivo è individuare talenti che non per forza devono fare gli artisti. Siamo una piccola squadra di persone perbene».
Quando è che il panettiere ma è diventato un attore?
«È difficile dire che cosa sono. Forse sono un panettiere che ha deciso di fare l’attore».
Nel 2016 è all’Asinara sul set di “La stoffa dei sogni” di Cabiddu: che esperienza è stata?
«Ricordo che la sera andavano via le luci e dovevamo arrangiarci con i telefonini. Ma fu in una di quelle serate che convinsi Fantastichini e Rubini a venire a Napoli al Nest. È un’esperienza che mi porto nel cuore anche perché ho avuto l’opportunità di recitare con Luca De Filippo, un grande attore che meritava di più dal cinema»
Quello con Mario Martone è l’incontro della vita?
«Mario è il mio padre artistico, mi ha cresciuto. A un certo punto mi ha messo al timone, ma come in una grande factory non ho alcun problema a fare anche una sola posa per lui, come in “Qui rido io”. Il nostro film vero è la nostra vita».
Il 2019 è l’anno di “Il sindaco del Rione Sanità”. Pochi mesi dopo è sui banchi di scuola per prendersi il diploma: cosa rappresenta quel pezzo di carta?
«Mi è servito solo per dire ai miei figli che bisogna studiare. Io sono ossessionato dal fatto che loro studino: solo se hai i mezzi riesci a percepire chi hai di fronte. Ma loro mi dicevano: “e tu cosa hai fatto?”. Io mi sentivo in difficoltà, non mi sembrava giusto. Allora ho fatto tutto l’iter, mi sono iscritto in una scuola pubblica e dopo un anno e mezzo mi sono diplomato in marketing e comunicazione».
Questa estate a Tavolara ha detto che punta alla laurea.
«Mi laureo, sempre per i miei figli. Quando la grande si iscriverà all’università sarò già lì e le dirò: “io mi sto laureando e tu?”».
Dopo Cannes “Nostalgia” di Martone punta su Hollywood: che effetto le fa la parola Oscar?
«Dimentichi che a Napoli siamo molto scaramantici (ride). Come diceva il grande Francesco Rosi: andiamo avanti».