Daniela Poggi: «L'Alzheimer destabilizza anche noi figli. La politica? L'ho fatta e sono scappata»
L'attrice si racconta tra cinema, tv e il libro "Ricordami!": «Terribile quando chi ti ha generato non sa chi più chi sei»
Ha diviso il palco con Walter Chiari, ha fatto il grande varietà firmato Enzo Trapani, ha affiancato Morandi nella sua prima fiction, ha recitato per Steno e Corbucci, Chabrol e Scola, ha girato l’Italia con decine di spettacoli teatrali, è stata il volto di “Chi l’ha visto?” nell’era pre Sciarelli, ha fatto l’assessora. Trovare una casella mancante nel curriculum di Daniela Poggi era già un’impresa impossibile. Ma ora ha colmato gli ultimi tasselli: il debutto come cantante con un brano di Mario Lavezzi e l’esordio da scrittrice con “Ricordami!”, La vita felice editore, dove racconta l’esperienza di figlia alle prese con una madre, Lidia, affetta dal morbo di Alzheimer.
Attrice, conduttrice, scrittrice, cantante, attivista, politica: chi è Daniela Poggi?
«Io direi semplicemente una donna che vive, presente, attiva. Direi anche una combattente».
In “Ricordami!” si racconta, si svela: quale è stata la scintilla che l’ha spinta a scrivere?
«È chiaro che la malattia di mia madre, la nostra convivenza abbiano influito tanto. L’Alzheimer è una malattia molto invasiva non solo nel corpo di chi la vive, ma anche in chi la deve curare, assistere. È devastante, destabilizzante, ti sradica completamente quando vedi che chi ti ha generato non si ricorda più di te, ma a un certo punto hai bisogno di mettere un punto fermo della vita. Ho sentito la necessità di mettere tutto su carta, affinché rimanesse per sempre. Almeno ci sarà la possibilità di sapere chi era Daniela, non tanto l’attrice, quanto la donna».
Dieci anni di malattia prima di morire tra le sue braccia. Momenti in cui si è sentita persa?
«È una malattia che ti fa perdere completamente la testa. Non sei più coerente con la tua vita, non sai chi sei, non riconosci più tua madre, non sai che azioni devi compiere per non ferirla. Hai bisogno di supporti medici, badanti, ma anche psicologici».
Un consiglio a chi sta affrontando la sua situazione?
«Non tenere la malattia nascosta, non avere timori o vergogna, cercare aiuto, ammettere la propria fragilità e avere tanta pazienza, che è sinonimo di grande amore, perché questa è una malattia che non puoi combattere, non puoi pensare di riuscire a convincere tuo padre o tua madre di ritornare nella memoria».
Sua madre appoggiò la scelta di lavorare nello spettacolo?
«Penso di sì. Lei era stata eletta tre volte miss, arrivava da una famiglia di tenori, cantanti, pittori. L’arte ha sempre gravitato nella mia famiglia. Anche mio padre si occupava di arte contemporanea. Mi hanno sempre lasciata libera di decidere. Forse perché erano separati hanno sempre accettato la mia strada».
Il debutto in tv a Telemilano con Bruno Lauzi. Cosa sognava la Daniela di quegli anni?
«Sognavo sicuramente di esistere, poter comunicare le mie emozioni, essere riconosciuta come persona. Dentro di me c’era un grande vuoto dovuto alla separazione dei miei genitori e alla vita in collegio dove dovevo combattere per trovare una mia identità. Insomma, non sognavo l’America. Vivevo quella dimensione con gioia. Ho iniziato a sognare quando la vita artistica è diventata un impegno più duro, faticoso, precario. Quando dovevo trovare una strada più consona all’identità di Daniela non solo più bella ragazza, ma donna pensante che aveva particolarmente sofferto. Da lì sono cominciati i grandi sogni e anche le grandi delusioni».
Al cinema è protagonista di molte commedie. Nel 1980 gira, anche in Sardegna, “Mi faccio la barca” di Corbucci.
«Un ricordo bello, divertente. Corbucci era una persona meravigliosa, Dorelli fantastico. Belmondo veniva a trovare la Antonelli. Ero giovane, spensierata, allegra. I problemi non erano ancora stati avvistati e la vita era più sorridente. Ai tempi pensavo di essere invulnerabile».
Il legame con la Sardegna?
«Nasce all’età di 17 anni. Mio padre fu uno dei pionieri di Porto Rotondo. Ricordo questa meravigliosa Casbah con la sua piazzetta, le strade strettissime su cui passava una sola auto. Ho frequentato la Costa Smeralda per anni. Poi ho iniziato a venire anche con i miei spettacoli teatrali. E infine ho due forti legami: con il poeta Biagio Arixi, che c’è sempre stato da quando ho iniziato a lavorare, e con Luisa Saba, una meravigliosa signora di 82 anni di Ozieri che conosco da 5 anni e mi ha fatto conoscere la Sardegna più intensa, più radicata nella cultura».
Per 4 anni è al timone di Chi l’ha visto?: era difficile mantenere il distacco dalle storie?
«Sì, perché entravano comunque nella mia vita. Molte, non tutte. Qualcuna mi ha anche lasciato un segno particolare. Ricordo una figlia che ci chiamò perché sua madre era uscita per andare dal medico e non era più tornata a casa. La ritrovarono il giorno dopo mentre raccoglieva fiorellini in una zona periferica di Milano: lei non si ricordava più nulla».
Dal 2013 al 2016 è assessora alla Cultura di Fiumicino: si sentiva più tecnica o politica?
«Io credo di avere sempre fatto politica nel mio lavoro, ho sempre preso posizione, ci ho sempre messo la faccia. Dentro di me ho la missione di stare al fianco degli ultimi, sarà che sono figlia di partigiano, ma la lotta per la giustizia è la luce che mi fa andare avanti. A un certo punto ho scelto di fare politica anche per “mestiere”, ho messo una divisa, ma quando ho capito cosa è la politica me ne sono andata: preferisco farla come la faccio tuttora».
Da donna di sinistra, che effetto le fa che la prima premier italiana sia di destra?
«Premesso che faccio fatica a riconoscermi in questa sinistra, sono molto felice che ci sia una donna primo ministro. È un passo avanti importantissimo per il Paese. Mi auguro solo che l’essere di destra di Giorgia Meloni sia più centrale che estremo, che riesca ad accogliere il bene di tutto il Paese e non il protagonismo delle sue idee. Serve una visione a 360 gradi di inclusione, abbattimento di muri e costruzione di ponti. Il protagonismo sarebbe l’implosione dell’Italia».
Intanto lei porta avanti la sua battaglia per la cultura: cosa è la Bottega Poggi?
«È una società iscritta al terzo settore che sta dalla parte dei più deboli e segue progetti culturali, audiovisivi, teatrali. Il mio sogno è lasciare un piccolissimo segno nel cuore e nella mente dei giovani. Gli adulti hanno fatto danni irreparabili e solo loro, i giovani appunto, possono migliorare questa nostra società».