«L’Italia vive un nuovo miracolo, ma hanno fatto fuori l’artefice»
Roberto Napoletano e il “draghicidio” in “Riscatti e ricatti”
Roberto Napoletano racconta il nuovo miracolo italiano firmato Mario Draghi. Una rinascita economica, sociale, internazionale che, però, proprio nel momento in cui il Paese poteva passare alla cassa si è interrotta con quello che l’ex direttore del Messaggero e del Sole 24 Ore, attualmente alla guida del Quotidiano del Sud, ha ribattezzato “draghicidio”. Ovvero la defenestrazione del premier tramite un “delitto” politico. Napoletano racconta questi ultimi mesi nel libro, “Riscatti e ricatti. Il miracolo nascosto di Draghi, gli intrighi contro l’Italia e la scommessa di Giorgia Meloni”, edito da La Nave di Teseo, illustrando movente, occasione e arma come fosse un intrigante thriller.
Napoletano, partiamo dal titolo: Riscatti e ricatti. Quali sono i primi?
«I riscatti sono innanzitutto venti mesi di governo di unità nazionale che coincidono con sette trimestri consecutivi di crescita che fanno dell’Italia, dopo decenni, il Paese che corre di più in Europa. Sette trimestri che permettono di aumentare l’occupazione a tempo indeterminato, ridurre le diseguaglianze e abbassare il rischio di povertà. I riscatti sono quelli di un processo riformatore compiuto, avviato e attuato dal governo Draghi, che ha restituito la reputazione a livello mondiale al nostro Paese e rimuove i vincoli interni alla crescita».
E sul piano internazionale quali sono stati i riscatti?
«Sono quelli di una leadership globale che mette su un treno per Kiev il cancelliere tedesco Scholz e il capo dell’Elisio Macron perché la scelta di campo a favore dell’Ucraina sia la scelta geopolitica della nuova Europa, di modo che l’Italia - come ai tempi di De Gasperi - non solo possa recuperare il rango di Paese fondatore alla testa del processo europeo ma addirittura ne assuma la guida. Ma sono anche quelli di una rivincita nei confronti dei francesi, restituendo all’Italia il ruolo di guida nella logistica energetica, tornando a essere il primo interlocutore dei Paesi africani partendo dal Mediterraneo e prima di ogni altro accrescendo la quota di indipendenza dalla Russia negli approvvigionamenti».
In questo nuovo miracolo italiano che ruolo ha il Sud?
«C’è un Pnrr che mette al centro il Mezzogiorno, e non a chiacchiere. Per la prima volta regioni come la Puglia e la Campania ricevono l’assegnazione di risorse nella scuola e nella sanità in misura superiore alla popolazione e in termini di investimenti sul capitale umano. Una scelta strategica che vuole dire cogliere lo spirito fondante che il Pnrr si propone, ovvero risolvere l’unico squilibrio territoriale sopravvissuto in Europa. Dopo decenni i livelli essenziali di prestazioni sociali, che ci dicono che un cittadino di Cagliari, Cosenza e Reggio Emilia ha gli stessi diritti per l’assistenza agli anziani e il welfare giovanile, sono stati approvati con la legge di bilancio di Draghi, la prima dopo tempo a inserire la parola coesione nei documenti di finanza pubblica. Tutto questo non è stato capito, e Draghi è stato buttato giù».
Lei parla di “draghicidio”.
«Sì, perché come nei veri thriller ci sono l’occasione, l’arma, il movente di coloro che decisero che la stagione di Draghi doveva interrompersi».
A chi si riferisce?
«A tutti i partiti, intimoriti da una figura così slegata alla Italietta della politica interna, stimata a livello mondiale, che rischiava di tenerli fuori a lungo dalla gestione del potere. Ma anche ai mandarini di Stato, i feudatari nazionali e territoriali che nel metodo nuovo della amministrazione instaurato da Draghi vedevano restringersi i loro ambiti di manovra».
E l’occasione qual è stata?
«La guerra di invasione della Russia in Ucraina che dal punto di vista economico si traduce nella guerra delle materie prime. Si capisce subito che dietro questa guerra di annessione violenta, criminale di Putin contro l’Ucraina si dipana un nuovo grande conflitto di civiltà tra mondo autocratico e mondo democratico, occidentale. E anche in questa vicenda, come non era mai accaduto in passato, l’Italia acquisisce un ruolo di leadership mondiale. Ma l’occasione della guerra porta una delle forze politiche più a disagio, il M5s, a sfilarsi dalla maggioranza».
Manca l’arma.
«È il racconto televisivo catastrofista che copre la straordinarietà del risultato, nasconde il miracolo e consente alle forze politiche della maggioranza di governo - non della opposizione costruttiva della Meloni ma degli azionisti Berlusconi e Salvini - di sfruttare l’errore di Conte e con i sondaggi in mano chiudere quella stagione politica. Questo interrompe una azione di governo che ha smentito e continua a smentire nei propri risultati tutte le previsioni dei centri studi economici, commerciali e artigianali e ha corretto per la prima volta anche le previsioni dei grandi centri internazionali. E come in tutti i thriller chi ne trae vantaggio è chi ha agito meno perché ciò avvenga, mentre chi ha determinato la caduta non raccoglie i risultati sperati. E infatti Lega e Forza Italia, anche in modo cumulato, sono rimasti molto sotto l’onda».
Ora l’Italia è a guida Meloni. I primi passi della nuova premier sono sul solco di Draghi?
«Già in campagna elettorale Giorgia Meloni si è imposta con un linguaggio di responsabilità, invitando i suoi partner a non fare promesse impossibili da onorare. Questo linguaggio si è tradotto nelle scelte della legge di bilancio. Motivo per cui i grandi investitori globali non hanno lasciato l’Italia e non lo faranno fino a quando Meloni manterrà questa linea di prudenza, responsabilità e sostenibilità del debito sul solco tracciato da Draghi. Le insidie derivano tutte da Lega e Forza Italia. La loro pericolosità non è tanto dal punto di vista economico, ma possono fare distogliere la concentrazione dall’unico grande problema che Meloni, Giorgetti e Fitto devono risolvere: trovare un nuovo Figliuolo in grado di attuare il Pnrr come Draghi è riuscito ad attuare il piano di uscita dalla pandemia. Se la premier sarà capace di fare questo, se attuerà un moderno riformismo conservatore, sarà la nuova Thatcher e durerà a lungo, e ce lo dobbiamo augurare. Se viceversa indulgerà sulla collocazione internazionale e sarà assorbita dalla bandierine interne di Lega e Fi sarà una stagione effimera come quelle di tanti governi del passato».