Matteo Branciamore: «Ora riparto con una serie e un film, ma il mio sogno è un ruolo in sardo»
L’attore romano si racconta tra nuovi progetti e origini isolane: «Mia madre è di Domus de Maria: qui mi sento a casa»
Un film in concorso a Venezia e una nuova serie Rai. Un’accoppiata niente male per Matteo Branciamore. L’attore romano, 42 anni il 2 ottobre, è pronto a impazzare tra cinema e tv. In realtà, per la sala bisogna attendere il 25 gennaio, quando “Enea” di Pietro Castellitto, dopo avere incassato applausi e critiche positive alla Mostra di Venezia - lo stesso direttore Alberto Barbera ha detto che il film è stato preso in considerazione dalla giuria -, uscirà al cinema. Ma già il 6 ottobre Branciamore sarà, insieme a Gaja Masciale e Giorgia Wurth, su RaiPlay con la serie “Eppure cadiamo felici”.
Matteo, che momento è della sua vita?
«È una sorta di ripartenza con ruoli completamente diversi. Che non era altro che il mio obiettivo attoriale».
“Eppure cadiamo felici”: il suo ruolo è quello del professore. Per lei anche una svolta anagrafica?
«Oggi il mio range tra i 35 e i 40 anni. Ormai ho fatto il salto dall’altra parte del guado».
Professor Bove: che personaggio è?
«Un perdente nato. Un uomo che nella vita ha avuto parecchie beghe da gestire: un matrimonio fallito, un amico che lo ha tradito, e alla fine si è trovato a fare l’insegnante di chimica in un liceo di provincia. Beve, fuma a scuola, ha tutto un suo modo di insegnare».
La protagonista è Gioia, una ragazzina 16enne.
«Sì, è una serie teen. Gioia è atipica, non ama i social, non ha facilità a farsi nuovi amici. Nella serie si affrontano temi importanti: il rapporto genitori-figli, i social, le fragilità umane. Ma nonostante tutto, come dice il titolo, dobbiamo cadere felici».
Cosa è la felicità?
«Spesso viene attribuita a qualcosa di esterno, a un traguardo, magari un lavoro o la casa. Ci hanno fatto intendere che se otteniamo tutto quello che vogliamo saremo felici, ma questa sarebbe una continua rincorsa: dopo una cosa ne voglio un’altra, e così via. In realtà, di primo acchito credo che la felicità nasca dentro di noi».
La serie va in onda su RaiPlay: lei che ha avuto il grande successo nella tv generalista come vede questo nuovo modo di fruire di film e serie?
«Molto positivo, con la vita che facciamo oggi dà la possibilità di vedere una serie come e quando vogliamo noi. Una rivoluzione, rispetto ai miei tempi, quando la puntata magari era il venerdì alle 21 e se dovevo fare altro ero costretto a scegliere».
Un mese fa era Venezia per presentare “Enea”, che in attesa di uscire al cinema ha già ottenuto ottime critiche alla Mostra. Che esperienza è stata?
«Incredibile, una emozione enorme. Il fatto di fare parte di questo progetto mi ha fatto inorgoglire da solo. Io non sono il tipo che si dà tante pacche sulle spalle, ma questa volta me la sono data. Tanta roba».
Studiava scienze della comunicazione. Perché a un certo punto decide di fare altro?
«In realtà, ho iniziato questo mestiere a 16 anni, i primi provini. Poi feci un patto con i miei, che volevano che studiassi. Mentre studiavo le occasioni di lavoro sono diventate sempre più importanti e ho dovuto scegliere».
Che ricordi ha delle sue primissime parti?
«Ho sempre amato il set, mi sono subito trovato a mio agio. Ovviamente erano i tempi della gavetta: fai tanti provini, poi capita l’occasione. È il leitmotiv di ogni attore».
L’occasione furono “I Cesaroni”. Fu scelto subito?
«Macché! Feci tre o quattro provini, dovevo anche cantare, il ruolo di Marco lo richiedeva. Per sostenere questa cosa ho dovuto studiare canto e chitarra. Un travaglio durato mesi».
Con Amendola, Ricci, Mastronardi, Fassari, Tortora eravate davvero una famiglia anche sul set?
«Ovvio che quando fai parte di un progetto del genere diventa la tua famiglia bis. Stai insieme nove mesi all’anno. Ma ormai sono passati tanti anni. Posso dire che come ricordo è stata una esperienza incredibile. Ai Cesaroni sarò sempre grato».
Come fu gestire quella popolarità?
«A quella età non facilissimo. A 24 anni sei un bambino. Per alcune cose è stato bellissimo, per altre per niente. Il successo è qualcosa di presente ma di effimero. Tutte le persone che cercano il successo, una volta trovato, si rendono conto che non è come lo immaginavano. A me è capitato. Io volevo solo fare l’attore, per vivere, per campare. Il successo va oltre questo, ma non fa la differenza nella vita».
Il post Cesaroni?
«La cosa che ho sempre tentato di fare è di essere eclettico. Volevo misurarmi con me stesso. Questo ha fatto sì che facessi il conduttore, le sit com, altri tipi di film. Però puoi fare 5 film, sei sit com, teatro, ma quando hai avuto tanto successo è normale che quello resti più impresso di tutti gli altri progetti insieme».
Con Comedy on the beach ha fatto anche il conduttore: le piacerebbe la tv?
«Sinceramente no, l’ho fatto come test per mettermi alla prova. Bisogna sempre rischiare, altrimenti non capiamo quali sono i nostri limiti. Per me è una continua ricerca di qualcosa. Come dice Michael Jordan: “I limiti, come le paure, sono spesso soltanto illusioni”. Io cerco sempre di buttarmi sui miei limiti per uscire dalla zona comfort».
Un no di cui si è pentito?
«Se l’ho detto c’era un motivo scatenante a quei tempi. Noi attori non sappiamo mai cosa andiamo a fare. Dobbiamo essere intuitivi e fortunati».
Mamma di Domus de Maria. Cosa è per lei la Sardegna?
«È una seconda casa, ci passo tutte le estati da quando sono nato. È una terra incredibile. Le spiagge sono tuttora così, ma negli anni Ottanta e Novanta non c’era davvero niente. Sfido a trovare un mare più bello di quello sardo: non esiste. Spero di tornare presto, anche per lavoro».
Un film sardo?
«Mi piacerebbe tanto un ruolo in sardo. Lo so parlare, anche se un po’ lo ho perso. Ma mi metterei a studiarlo».
La serie, il film... e ora cosa vorrebbe?
«Tante cose. In realtà, mi piacerebbe confrontarmi con prove sempre più mature da attore per vedere a che punto sto della mia carriera. Voglio continuare ad affrontare ruoli diversi dall’immaginario collettivo. Proprio come lo sono questi miei ultimi due progetti».