La Nuova Sardegna

L'intervista

Ornella Muti: «No alla società dei like: la vita è altro. Nel cinema poche idee e troppi remake»

di Alessandro Pirina
Ornella Muti: «No alla società dei like: la vita è altro. Nel cinema poche idee e troppi remake»

L’attrice protagonista su Netflix con “Lo sposo indeciso” di cui è anche produttrice .«Ormai fare film è faticosissimo, devi trovarti i mezzi»

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Il suo sguardo ha fatto capitolare tutti, nel cinema e nella vita normale, in Italia e all’estero. Nel 1994 la rivista americana Class la elesse “donna più bella del mondo”. Ma dietro il successo planetario di Ornella Muti non c’è solo la bellezza, per quanto fuori discussione. In pochi minuti di telefonata emergono subito tutti quegli aspetti che l’hanno portata a essere l’ultima diva del cinema italiano in un’epoca in cui il divismo ha ceduto il passo ai like: professionalità, libertà, voglia di sperimentare. E in questa direzione va anche la scelta di girare e produrre il film “Lo sposo indeciso” di Giorgio Amato, che in pochi giorni sta scalando la classifica di Netflix.

Perché un’attrice come lei decide di produrre un film?

«C’è un momento della carriera in cui le cose che ti piacciono te le produci. Gli americani insegnano. A questo film tenevo tanto, stimo molto Giorgio Amato, è un regista molto bravo a cui non vengono dati abbastanza mezzi per fare film. Ormai il cinema è così, è faticosissimo. Ma volevo farlo assolutamente e, anche grazie agli sponsor trovati da Naike (Rivelli, figlia dell’attrice, ndr) siamo riusciti a farlo».

“Lo sposo indeciso” è stato anche il suo ritorno alla commedia. Oggi è più difficile fare ridere il pubblico?

«Noi eravamo i re della commedia, poi c’è stato il momento del cinepanettone, ma quello era un altro tipo di comicità, più estrema. La commedia all’italiana era quella che rideva sull’amaro, su questo padroneggiavamo. Ecco, in Giorgio ho visto la stessa vena dei registi di una volta: ci sono momenti in cui ridi, ma in realtà vorresti piangere».

Il film è appena sbarcato su Netflix. Lei è stata regina del botteghino con film campioni di incasso: qual è il suo rapporto con le piattaforme?

«Ormai è così, le cose si evolvono. Quante volte i cambiamenti ci hanno inquietato, per poi diventare magari super positivi. La verità è che oggi la gente non va al cinema. Il pubblico non muove le gambette se non per “La sirenetta”. E poi ormai nelle case vedo schermi grandi quanto una parete. Oggi la tv è potente, è entrata a gamba tesa: offre serie bellissime - le italiane sono le meno belle - in arrivo da tutto il mondo. Io dico: concentriamoci sul fare belle cose, poi vediamo dove vanno. Pensiamo a “Lo sposo indeciso”: in sala lo hanno visto in pochi, su Netflix sta avendo successo. La gente ormai aspetta due mesi e guarda i film in tv. Anche se io amo la sala, ha una magia che la casa non ha. Ma io sono una nostalgica».

Ha debuttato nel cinema a 14 anni: cosa prova ripensando a quella ragazzina?

«Non ci penso. Già di mio sono melanconica, se vado all’indietro vedo un’altra persona. Io voglio andare avanti e guardare al futuro. Il passato mi serve solo per non commettere errori».

Il cinema subito si accorse di lei: Monicelli, Ferreri, Risi.

«All’epoca era così. Il cinema era questo, c’era poi un cinema di serie B che non toccavi se volevi restare nella serie A. Ai tempi c’erano più distinzioni. Gli attori non facevano pubblicità».

Le grandi commedie: Celentano, Pozzetto, Nuti, Verdone. Tutti i grandi fecero il bis con lei. Questione di alchimia?

«L’alchimia era il botteghino. I produttori guardavano i risultati: il film è andato bene, facciamone un altro. Nel cinema da cui provengo io c’era il produttore che aveva fiuto ma sempre produttore rimaneva. E poi c’era il regista, gli sceneggiatori: c’erano le distinzioni. Oggi manca la grande scrittura. Oggi fanno i remake, non di film vecchissimi, ma di film spagnoli o francesi dell’anno prima, che tutti hanno già visto. È denigrante che noi, il Paese della creatività, dobbiamo usare le idee degli altri».

Il set più divertente?

«Conservo ricordi bellissimi di tanti film per tanti motivi: perché mi sono divertita, perché è stato faticoso ma ce l’abbiamo fatta, perché ho lavorato con persone meravigliose. Le riprese duravano due mesi minimo, erano parti di vita. Ho avuto la fortuna di lavorare con registi come Ettore, Citto, Mario, Marco, Carlo (Scola, Maselli, Monicelli, Ferreri, Verdone, ndr). Ho girato il mondo. Con Francesco Rosi in Colombia (per “Cronaca di una morte annunciata”, ndr): sono una grande estimatrice di Marquez, quello fu un regalo gigante. È stato un set migliore dell’altro, come posso scegliere?».

Cosa significava essere Ornella Muti negli anni Ottanta? In “Grandi magazzini” interpretò addirittura sé stessa.

«Io mi sono molto protetta inconsapevolmente facendo la mia grande famiglia: lavoravo e correvo a casa. Certi momenti potevano farmi perdere la testa, ma la realtà mi chiamava costantemente. Era la mia paura più grande. Avendo iniziato a 14 anni io guardavo e assimilavo gli attori, spesso egoisti ed egocentrici. Ho visto colleghi arrivare all’apice del successo e poi finire alcolizzati. La vita è fatta di onde».

Questo senso di protezione l’ha portata anche a non farsi travolgere da Hollywood?

«Assolutamente sì, ma io ne sono contenta. Tanto che sono venuta via, avrei potuto fare scelte diverse. Ma non le ho fatte perché credo fermamente nella vita. Ognuno di noi deve vivere bene la vita, che non è il lavoro o il cinema. Ma svegliarsi con sé stessi e andare a letto con sé stessi. Ci soffermiamo su cose che non hanno senso. Io ce l’ho con gli influencer, perché mi rendo conto che ai nostri figli, nipoti stiamo lasciando una società in cui non si legge più, in cui conta di più cosa dice Giovannino su Tik Tok. Tutto si basa su follower, like, ma quella non è vita».

Tante colleghe sono passate dall’altra parte, Eleonora Giorgi e Asia Argento l’hanno anche diretta. Un film da regista è mai stato un suo obiettivo?

«Me lo chiedono spesso, ma ho lavorato con persone che ho ammirato, stimato e so che la regia è importante. Non ho questa conoscenza, dovrei farmi guidare da un grande direttore della fotografia. Ma io sono una perfezionista: le cose o le faccio bene o non le faccio. Non vorrei sentire: questo la Muti se lo poteva risparmiare».

Sardegna: vacanza o lavoro?

«In vacanza solo un mese a Santa Teresa quando aspettavo Naike, nascosta a casa di un mio agente: quello è un momento che ricorderò tutta la vita. Il resto sempre e tanto lavoro. D’altronde, se vieni in Sardegna o vai in un posto isolato oppure finisci per stare a Roma o Milano con il mare e vestita sempre con tacchi e borsetta».
 

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