Benito Urgu: «Mi fermo con gli show ma continuerò sui social»
Benito Urgu lascia le scene: ultimi eventi a Cagliari e Sassari «Gigi Riva amava le mie cassette. Anche Ranieri è un mio fan»
C’è una generazione di sardi, forse due o anche tre, che è cresciuta con le sue battute, le sue storie surreali, i suoi personaggi. In ogni casa, in ogni auto c’erano le sue mitiche musicassette. Da “Tonteddu Jouer” a “Chi l’ha visto l’ha visto”, da “Latte e cozze” a “Un giorno in pretura”. Benito Urgu è l’idolo delle famiglie, perché ai suoi giochi di parole ridono tutti, grandi e piccini. Ora a 85 anni compiuti il re dei comici sardi ha deciso di lasciare le scene. Lo farà con tre show, due a Cagliari il 4 e il 5 aprile, già sold out, mentre il 6 sbarcherà al Comunale di Sassari.
Signor Benito, ha davvero intenzione di lasciare le scene? Jacopo Cullin ha detto alla Nuova che non ci crede.
«Quando si arriva a una certa età si fanno delle riflessioni e per il momento la mia intenzione è quella. Ma io voglio lasciare gli spostamenti, l’andare e venire. Nei social la mia presenza resterà. C’è tanta gente che la mattina prende il telefono in mano per sentire una cosa nuova».
Il suo annuncio ha spinto molti a chiederle di non lasciare. Anche Fiorello.
«Sì, mi ha salutato: “Benito, ajò non andartene”. Anche Geppi Cucciari mi ha detto: “ma ti ritiri di lì?”. Come attrice Geppi è fortissima, in quella sua trasmissione è una potenza: quel suo talkare in italiano sardacico mi piace un sacco».
Partiamo dagli inizi. Il nome Benito non è stato un caso.
«Ai tempi la nomenclatura era quella. I bambini li chiamavano con tutto quello che c’era di patriottico: Benito e Italo per i maschi, Claretta e Vittoria per le femmine. Più avanti è arrivata un’altra nomenclatura, quella dei film e della tv: Richard Ghirra, Romina Pau. A Cabras c’è uno che si chiama Sandokan».
Quando si rese conto che faceva ridere?
«Eravamo due amici all’asilo ed eravamo convinti di fare ridere. Forse non tutto nasce da quello ma gli spunti partirono da lì. Poi quando sono diventato più grande mi sono reso conto che esistono gli attori».
“Gambale twist” fu il primo successo con i Barrittas.
«C’è voluto del tempo, la world music non è molto ascoltata, ma alla fine ti trasporta. Oggi è più difficile trovare ritmo melodico nelle canzoni, tutti parlano. Ma bisogna dire che uno dei primi popoli a inventare il rap è stato il sardo. In Campidano si faceva sa repentina, che era un ripetere le cose all’infinito finché non ti rimanevano in mente».
Negli anni ’70 “Sexy Fonni” fu criticato dalle femministe.
«Non ascoltavano le parole. Si pensava che fosse una canzone che riprendesse alla lettera “Je t’aime...moi non plus”. Ma musica e testi erano originali. Una volta fui invitato da Renzo Arbore, persona illuminata, a “L’altra domenica”, ma venni censurato dalla Rai. Anche la Chiesa era contro di me perché sosteneva che parlassi male delle donne. E così anche le femministe. Ricordo ancora una trasmissione dove mi attaccò Adele Faccio».
Negli anni ’80 i suoi spettacoli riempiono le piazze e le sue cassette vanno a ruba: quante ne avrà venduto?
«Tante, il numero non lo so. Ma dovevo scontrarmi con il vucumprismo. In quel periodo ho tirato su le sorti del Senegal. Era una cosa pazzesca. La mia casa discografica, la Cgd, diceva: quando vendono i falsari è indice di successo, chi compra da loro non lo farà mai in un negozio, la diffusione sarà doppia. Fu un periodo bellissimo».
È diventato ricco?
«Non si diventa ricchi. La ricchezza è il pubblico che hai attorno. E poi come fai a diventare ricco in una regione di un milione e mezzo di abitanti? Mica ti seguono tutti».
Tra i suoi fan c’era Gigi Riva.
«E anche Claudio Ranieri. Di Riva sapevo che mangiava in certi ristoranti. Un giorno lo vedo, lo saluto, gli racconto due cose. Poi viene Giacomo, il proprietario, e mi fa: “Gigi mi ha chiesto se può sedersi con te”. Io non ci credevo, invece è venuto. Mi raccontò anche che ogni fine anno quando si ritrovava con tutta la famiglia ascoltavano le mie cassette».
Giorgio Panariello ha confessato che quando faceva il militare a Iglesias veniva a vedere i suoi show e per alcuni personaggi si è ispirato a lei.
«Non alcuni, tutti. Lui si è ispirato completamente a me, ha fatto tutti i miei personaggi in toscano: Amerigo era Tore Mitraglia, Mario il bagnino era Giorgetto da Pirri, per non parlare delle signore. Ai tempi lui imitava e basta. Stava qui a Oristano e lavorava per una agenzia di spettacoli. Ma non è l’unico che è rimasto colpito da me. Stefano Bollani ascoltava le canzoni dei Barrittas. Vinicio Capossela canta sempre “Gambale twist”. Angelo Pintus mi ha raccontato che i genitori mettevano sempre le mie cassette in auto quando venivano in Sardegna».
Piero Chiambretti l’ha portata alla ribalta nazionale: come lo ha conquistato?
«Mi chiamò Tatti Sanguinetti per fare un film con Francesco Salvi. Voleva che cantassi “c’è da spostare una pecora”. Vado lo faccio e lui: quanto ti devo? E io: niente, mi ha fatto piacere che mi abbia chiamato. Dieci giorni dopo mi ha fatto conoscere Chiambretti. E da lì è nato tutto. Andò così anche con Nino Frassica. Partecipai a un concorso, c’era anche la figlia di Totò e lui mi disse: ti chiamerò, faremo delle cose insieme. Così è stato».
Ha lavorato in Rai anche con Alba Parietti.
«Allora la comicità sarda non era molto conosciuta. La Rai mi bloccò una canzone che si chiamava “Coddu, coddu”. Un tecnico, figlio di genitori sardi, disse che era una parolaccia. Ma su coddu è la spalla...».
Per un sardo è più difficile fare ridere gli altri?
«Ho conosciuto sardi che non sapevano ridere se non quando si parlava di sesso, di discorsi piccanti. Non era semplice».
Al cinema ha lavorato con Chiambretti e Vanzina, ma per un ruolo da protagonista ha dovuto aspettare Paolo Zucca.
«Prima ancora feci una serie Rai con Anna De Francisca, “Casanostra”. È stato il periodo più bello della mia vita: c’era un canovaccio e poi improvvisavo. Ero ambientato in una casa di riposo. Era meraviglioso recitare con questi bambini grandi».
Cosa deve aspettarsi il pubblico di Cagliari e Sassari?
«È gente che viene a darmi un saluto. Gente che viene a dirmi grazie perché magari gli ho fatto fare una piccola risata».