Ci sono i venditori di fichi d’India, bendiróris de vigu muríska, a caccia di affari in piazza a Cagliari. Un gruppo di donne, invece, si lasciano fotografare mentre lavano i panni nelle tinozze, sempre nella città capoluogo. Ci sono, poi, i pescatori di murene, una veduta dello stagno, le nasse per le anguille. Cinque scatti, stampa in bianco e nero, formato originale 9x12 centimetri. Fotografie datate 17-20 gennaio 1926. Il loro autore è Max Leopold Wagner, il famoso linguista etnologo tedesco che dedicò buona parte della sua vita allo studio del sardo. Noto per il monumentale e ancora oggi basilare “Dizionario etimologico sardo”, il “Des”, e di un nutrito elenco di saggi vari sull’isola, Wagner (Monaco di Baviera, 1880 – Washington, 1962) torna ora alla luce, e in libreria, con un nuovo “Viaggio in Sardegna: 1925-1927”. Edizioni Sardìnnia, il volume mette a disposizione «di studiosi e appassionati, i materiali linguistici, iconografici, etnografici e antropologici raccolti da Max Leopold Wagner durante due anni di intense e appassionate ricerche: dal novembre 1925 al luglio 1927» spiega nell’introduzione Giovanni Masala Dessì, curatore e traduttore del libro. «Le fotografie e gli schizzi etnografici sono corredati dalle didascalie originali di Wagner» aggiunge.
È lui, Masala Dessì, che nell’estate del 1999 si è imbattuto per la prima volta con il tesoro linguistico-etnologico inedito proveniente dalla Sardegna e custodito dall’Università di Berna. Nuorese, lettore di Lingua e civiltà sarda del dipartimento di Lingue e letterature romanze delle Università di Stoccarda e Zurigo, Giovanni Masala Dessì ha subito provato una “scossa elettrica”, espressione cara proprio a Wagner quando scopriva, “folgorato”, l’origine di qualche parola. Considerato il più grande studioso di linguistica sarda e uno dei maggiori filologi romanzi del Novecento, Max Leopold Wagner aveva iniziato a interessarsi della Sardegna fin dai tempi della sua tesi di laurea, discussa a Würzburg nel 1904. Quel lavoro gli valse una borsa di studio che utilizzò per il suo primissimo viaggio nella terra dei sardi, tra il 1904 e il 1905. Poliglotta e girovago per indole, da allora Wagner non si è più fermato, facendo tappa in Turchia, Grecia, Inghilterra, Spagna, Sardegna e Messico. Insegnò Filologia romanza nell’Università di Berlino. Nel 1924 si trasferì in Italia. Tra il 1925 e il 1927 soggiornò per lunghi periodi in Sardegna allo scopo di condurre le inchieste dialettologiche per l’ Atlante linguistico ed etnografico dell’Italia e della Svizzera meridionale, dato alle stampe negli anni 1928-1940 da Karl Jaberg e Jakob Jud. È da questa mole imponente di ricerche e approfondimenti che oggi emergono alla luce i materiali rimasti finora inediti di Max Leopold Wagner, ritrovati e riordinati da Giovanni Masala Dessì. Le fotografie, ma anche disegni e disegnini vari, verbali, pagine manoscritte e appunti annotati qua e là dall’accademico tedesco nelle venti località dell’isola visitate e prese come riferimento per eseguire i rilievi e registrare lessico, frasi e forme verbali. Macomer, Nuoro, Cagliari, Sant’Antioco, Sassari, Ploaghe, Villacidro, Tempio, Bitti, Dorgali, Fonni, Desulo, Escalaplano, Perdasdefogu, Baunei, Santu Lussurgiu, Milis, Mogoro, Busachi e Laconi. Venti realtà profondamente pastorali e contadine, immortalate dal filologo bavarese tra il 1925 e il 1927. Un “Viaggio in Sardegna” che va ben oltre gli aspetti prettamente linguistici, già di per sé interessanti, allargando lo sguardo alle vedute antropologiche e sociali in genere, agli usi e costumi, alla vita di tutti i giorni, ai mestieri, agli attrezzi da lavoro, agli utensili domestici. Per non parlare dei volti delle persone ritratte, uomini e donne dalla pelle bruciata dal sole, invecchiati anzitempo, come i pastori di Fonni e Desulo, come i porcari di Ploaghe. I bambini, poi: cresciuti troppo in fretta per poter gestire l’aratro, s’aráðullu, come succede a Escalaplano, e filare il lino e intrecciare cestini, come succede a Busachi.