La Nuova Sardegna

Intervista

Eduardo Scarpetta: «Sul palco a 9 anni e non ho più smesso»

di Alessandro Pirina
Eduardo Scarpetta: «Sul palco a 9 anni e non ho più smesso»

L’attore napoletano discendente della grande dinastia del teatro partenopeo in giuria al Figari film fest di Golfo Aranci. «Martone mi ha introdotto al cinema. Nei set di Ozpetek l’atmosfera è la stessa dei suoi film. Toni Collette era il mio mito, ora ci scriviamo su whatsapp»

17 giugno 2024
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Con quel nome non avrebbe potuto fare altrimenti, ma essere figli di (e nel suo caso nipote, bisnipote, trisnipote) non basta. Eduardo Scarpetta, 31 anni, fin da subito ha dimostrato di avere la stoffa dell’attore, tanto che al primo film importante, “Qui rido io” di Mario Martone che raccontava proprio la storia del suo omonimo e gigantesco avo, si è portato a casa il David. Scarpetta è a Golfo Aranci in giuria al Figari film fest. Una settimana fa in Costa Smeralda ospite di Armani, ora di nuovo in Sardegna.

«E fino a una settimana fa non c’ero mai stato. Sto già pensando di tornare a settembre con la mia ragazza e i mie due cani. Vorrei prendere casa al centro della Sardegna e spostarmi in macchina per fare percorsi di trekking, dalla montagna fino al mare».

Con il nome che porta la sua strada era segnata?
«In realtà, mio padre e mia madre non volevano facessi l’attore. Loro erano attori di teatro in anni in cui si era sempre in giro per l’Italia, non sapevi se ti pagavano o non ti pagavano. Mio padre non voleva seguissi le sue orme ma mi ha chiamato Eduardo... e così a 9 anni mi ritrovai sul palco con lui. Avrei anche potuto rigettare la cosa e invece nonostante la giovanissima età provai una sensazione incredibile, applausi, risate, e pensai: voglio fare questo per tutta la vita».

Il suo debutto nei corti, ora in giuria a un festival di corti.
«Se in un film ogni scena è importante per mandare avanti qualcosa, nel corto deve essere tutto centellinato alla perfezione. Non deve esserci nulla di inutile. Il corto è come una spremuta d’arancia».

Cosa rappresenta per lei Mario Martone?
«Mario mi ha fatto debuttare al cinema ed è stato straordinario. Ho fatto il provino come tutti ed è andato bene, poi dopo qualche anno è ritornato a propormi un ruolo nel film che stava girando su Eduardo Scarpetta: il figlio Vincenzo».

Il nonno di suo padre. Che effetto faceva far parte di un film che parlava della sua famiglia?
«La nostra è una famiglia turbolenta. Nel momento in cui giravo lo prendevo come un film. Poi quando l’ho rivisto tutto è stato un po’ strano pensare che quella fosse una storia vera, per di più della mia famiglia».

Cosa è Napoli per lei?
«Io vivo a Napoli e ci vivrò per sempre. È una città che ti accoglie, ma per quanto io non possa stare tanto tempo senza Napoli non posso negare che abbia i suoi problemi: caos, anarchia, ognuno fa quello che gli pare».

“Le fate ignoranti”: i set di Ozpetek sono come i suoi film?
«Ferzan è quella persona che una volta che ti stringe la mano diventi suo fratello. Perlomeno con me è successo così. E confermo: i suoi set sono come i suoi film. Quando giravamo sulla terrazza facevamo casino, improvvisavamo, ci divertivamo».

“Mafia mamma”, prima esperienza internazionale.
«Di internazionale c’erano Toni Collette e la regista Catherine Hardwicke. Era un set molto italiano. Ma quando il mio agente mi ha detto che dovevo fare un self tape per questo film gli ho detto: mi stai prendendo in giro. Quando mi hanno scelto sono impazzito. Toni era il mio idolo e ora ci scriviamo su whatsapp».

“La legge di Lidia Poet” e “I leoni di Sicilia”: siamo sempre nell’Italia di fine Ottocento...
«Tutto quello che ho fatto è dagli anni ’60 in giù. Di moderno solo “La donna per me”, “Le fate” e la nuova serie che uscirà a breve su Netflix, “Storia della mia famiglia” di Claudio Cupellini, di cui sono protagonista».

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