Luca Telese: «Enrico Berlinguer è più attuale oggi di quarant'anni fa»
Il giornalista parla del suo nuovo libro “Opposizione” dedicato agli ultimi anni del segretario comunista. «Per lui contava sopra ogni cosa la questione sociale»
«Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona», cantava Giorgio Gaber. Vero, verissimo. Ma Enrico Berlinguer è stato molto di più del segretario del Pci più amato di sempre, dell’uomo che portò in piazza un milione di persone - e non solo per il suo funerale - dell’icona di una sinistra che dopo la sua prematura e improvvisa scomparsa non è più riuscita a trovare un timoniere. Enrico Berlinguer, per quanto dipinto come un conservatore, con lo sguardo rivolto al Novecento, è stato un grande innovatore, un progressista sempre dalla parte degli ultimi, l’uomo della questione sociale e non solo di quella morale, e la sua lezione oggi, a quarant’anni dalla sua uscita di scena, è più attuale che mai. Lo spiega in modo ineccepibile Luca Telese nel suo nuovo libro, “Opposizione. L’ultima battaglia di Enrico Berlinguer”, edito da Solferino, dove ripercorre gli ultimi anni dell’avventura umana e politica del segretario comunista, che - il caso ha voluto - sarebbe anche diventato il suocero che l’autore non ha mai conosciuto.
Telese, due anni fa “La scorta di Enrico”, ora “Opposizione”. Cosa l’ha spinta a scrivere questo nuovo libro?
«Tutto nasce con “La scorta”, che è un libro di storia che arriva al presente raccontando di storie passate. È stato proprio allora che, frugando negli archivi, ripercorrendo quelle storie, ho trovato gli ingredienti per scrivere questo libro. Uno straordinario cortocircuito tra passato e presente. Il Berlinguer dell’84 è come se parlasse alla sinistra di oggi. I temi sono gli stessi: guerra e pace, inflazione, crisi energetica, c’era un referendum e ora ce ne sarà un altro. Come se passato e presente si fossero sovrapposti. E il paradosso è che Berlinguer è più attuale oggi di 40 anni fa. Il mondo che lui immaginava era quello di oggi».
Il racconto parte da Mosca, dall’ultima volta di Berlinguer nell’Unione sovietica.
«Nel libro c’è una intervista a Massimo D’Alema, che accompagnò Berlinguer in quel viaggio insieme a Paolo Bufalini. L’Urss era ormai fuori dalla storia. Berlinguer lo aveva capito e questa cosa gli consentì di iniziare a pensare a un mondo nuovo. Le altre sinistre ufficiali non si erano rese conto che l’Urss era morta e rimangono spiazzate dal crollo del muro di Berlino. A quel punto sono convinte che inizierà un’epoca meravigliosa, senza conflitti. Ma anche in questo caso Berlinguer aveva capito che non sarebbe stato così».
Perché secondo lei il segretario del Pci era pessimista?
«Da un lato, il Libano, dall’altro l’invasione di Grenada che vide gli Usa contro Thatcher. Con questi pochi ingredienti Berlinguer capì che fuori dalla guerra fredda il mondo sarebbe stato più feroce di quello di prima».
Anche in tema di lavoro ci aveva visto giusto.
«Lui disse: finirà la centralità della classe operaia perché finirà la classe operaia e arriverà l’intellettuale precario. Perché è vero che le tecnologie liberano dalla fatica del lavoro, diceva lui, ma la difesa dei diritti è nata nei luoghi di lavoro. Se elimini i luoghi di lavoro non vai di certo verso il meglio. Aveva ragione».
Ambiente e questione femminile: le parole di Berlinguer sono avanti. Come riuscì a farsi ascoltare?
«Il partito lo seguiva con un atto di fiducia assoluta. Al centro della sua politica c’era sempre la questione sociale. E questo gli consentiva di traghettare persone che arrivavano da un altro tempo. Si accosta al pensiero della differenza. Alle donne diceva: non dovete diventare uguali agli uomini, perché non fate un gruppo di sole donne? Emblematica la risposta di Lalla Trupia: il pensiero di un gruppo di soli uomini ci terrorizza (ride)».
L’altro tema, che dà anche il titolo al libro, è l’opposizione, partendo da quella locomotiva che fu costruita per la manifestazione del 1984 contro il decreto sulla scala mobile.
«Si può lavorare 155 giorni e montare tonnellate di acciaio per una manifestazione di cinque ore? La riposta è sì. Perché 40 anni fa si diceva: la questione sociale riguarda me, non Berlinguer, è Berlinguer che sta facendo la battaglia per me. Questo oggi si è perso a sinistra, che troppo spesso ha dato l’idea solo di ztl e un po’ di diritti. Anche se oggi il referendum di Landini contro la precarietà ricorda la battaglia sulla scala mobile. Comprese le forti opposizioni a sinistra».
Contro l’abolizione della scala mobile Berlinguer portò un milione di persone in piazza.
«Fu qualcosa di incredibile. E se ripensiamo a quella battaglia ci rendiamo conto che non era così sbagliata se oggi l’Italia è l’unico Paese in cui i salari non sono mai cresciuti restando i più bassi e il potere d’acquisto è il più svalutato. Berlinguer diceva: quando ci sono guerre e crisi si paga un prezzo, ma non devono essere i più deboli a pagarlo. Oggi pare sovversivo dirlo».
Alle Europee del 1984 il Pci di Berlinguer per la prima e unica volta superò la Dc. A quelle del 2024 il Pd di Elly Schlein non è stato il primo partito, ma ha conquistato un buon 24%. Vede qualche similitudine?
«Come a Schlein anche a Berlinguer fecero una guerra pazzesca. Lo racconto nell’ultimo capitolo. Due giorni prima di morire lui vuole che dalla direzione si esca con l’annuncio che si farà il referendum. Vengono fuori tutti i suoi oppositori: Napolitano, Iotti, Lama. Chi è contrario al referendum a prescindere e chi lo ritiene inutile perché perdente. La mozione del segretario passa per un voto. Lui, racconta D’Alema, era attonito, arrabbiato. “Se volete un’altra linea finisco la campagna elettorale e finisco questa discussione”, disse. Ovvero, se non siete d’accordo con me me ne vado. Quarant’anni dopo possiamo dire che se Schlein avesse preso due punti in meno l’avrebbero mandata via».