Gabriella Greison: «Racconto Leona Woods, la giovane fisica della bomba atomica»
Lavorò con Fermi e Oppenheimer. La scrittrice l’ha riscoperta e la porta con un monologo il 5 luglio a Olbia e il 13 agosto a Sant’Antioco
Sassari Scrittrice, attrice teatrale, «rockstar della fisica», soprattutto. Gabriella Greison è abituata a fondere i microcosmi delle scienze con i mondi della letteratura e del teatro. Venerdì 5 luglio porterà sul palco di Olbia, per la rassegna “Sul filo del discorso”, il monologo sulla scienziata Leona Woods. Trasposizione del suo libro “La donna della bomba atomica. Storia dimenticata di Leona Woods, la fisica che lavorò con Oppenheimer”. Tronerà nell’isola, a Sant’Antioco, il 13 agosto, «e mi fermerò qualche giorno in vacanza».
Come ha scoperto l’esistenza di Leona Woods e la sua storia?
«Stavo indagando su Arthur Compton, fisico quantistico, avevo letto un dettaglio interessante e cioè che durante il Progetto Manhattan (il programma di ricerche e sviluppo che portò alla realizzazione delle prime bombe atomiche, ndr) leggeva la Bibbia agli scienziati che a fine giornata avevano bisogno di un racconto. Lì scopro che agli incontri era sempre presente Leona Woods. Ho chiesto a fisici e storici e nessuno sapeva chi fosse. Così ho deciso di interessarmi. Era la fisica più giovane che ha lavorato al progetto, laureata a 18 anni, a 23 già un dottorato in fisica nucleare. Era entusiasta, ironica. Sono partita per un lungo viaggio in America, ho voluto ricostruire la sua vita, di cui mi ha colpito la determinazione in un mondo così maschile».
Una “Storia dimenticata”, perché? Si è data una risposta?
«Tutte le donne che partecipavano a progetti scientifici non venivano raccontate. Ancora di più in questo ambito, di bombe e seconda guerra mondiale, è sempre stata una questione di uomini che parlano di altri uomini, anche nel film su Robert Oppenheimer è così».
Ecco sì, l’ha visto?
«Lo trovo molto sopravvalutato. Ha il solito taglio americano, c’è molto machismo, è completamente incentrato su Oppenheimer ma nei fatti storici non era così. Lui era bravo su molti aspetti e a tenere le relazioni, ma la mente era Enrico Fermi. è passato in secondo piano lui, figurarsi la ragazza fisica che ha lavorato con Fermi».
Sulla genesi della bomba atomica c’è sempre una certa fascinazione. «Vero, ce l’ho anche io. Sembra quasi che abbiamo bisogno di sempre più dettagli. Siccome erano finiti i libri che ho letto sull’argomento, ho deciso di scriverne uno io (ride). Raccontando dal punto di vista di Leona, lei che ha avuto un ruolo di primissimo piano nella costruzione».
Com’è portare poi un libro sotto i riflettori?
«Ormai da dieci anni lo faccio usando il sistema del teatro di narrazione. Ho imparato a mettermi in prima persona e Leona è il personaggio che in assoluto più mi rappresenta sinora. Mi immedesimo nella sua battaglia di donna che si è realizzata facendo ciò che voleva, in un ambiente altamente maschile, come una Sparta o una caserma Marines. La racconto con molti flashback per riuscire a trasmettere lo spessore della sua vita, e poi mi piace raccontare dettagli su Fermi. Figura attuale che va riscoperta, oggi che si parla di nucleare».
Greison, lei fornisce da anni uno degli esempi principali di come le divisioni tra cultura scientifica e umanistica non abbiano senso.
«Sì! Non ci deve essere alcuna divisione. Purtroppo al grande pubblico, anche in televisione, la scienza viene relegata come cultura secondaria, a fronte di una cultura fatta di classici e di filosofia. Per me oggi è necessario più di ogni altra cosa, a scuola, partire dalla conoscenza della fisica e dei grandi scienziati. Io ci provo a teatro».