Luca Barbareschi: «Basta con il politicamente corretto: è una rovina»
L’attore e produttore a tutto campo: «I più colpiti sono gli insegnanti, vessati dai genitori, dagli studenti e dallo Stato»
Era uno degli ospiti più attesi del Festival Bernardo De Muro. Mercoledì 23 luglio Luca Barbareschi avrebbe dovuto portare il suo Barba Life nell’anfiteatro delle fonti di Tempio, dove nei giorni scorsi Laura Morante ha incantato il pubblico con le sue donne pucciniane. Un infortunio, però, ha costretto Barbareschi a fermarsi e dunque ad annullare il suo tour, compresa la data gallurese. E così il suo show contro il politically correct è rimandato a data da destinarsi.
Barbareschi, racconti la sua battaglia contro il politicamente corretto.
«Il politicamente corretto ha distrutto una certa maniera di pensare. È il pensiero razionale contro il pensiero magico».
Tutti si dicono contro il politicamente corretto. Perché ne siamo diventati prigionieri?
«Io non ne sono mai stato prigioniero. Tutto nasce con gli scrittori post moderni in Francia, penso a Foucault ma anche Sartre era un grande furbo. Questo tipo di cultura è stata esportata prima in Canada e poi negli Stati Uniti, dove si è innescata come un detonatore chimico. Questa roba ha attecchito nelle università ed è scoppiata in un moralismo tanto caro agli americani. Loro hanno una doppia morale fantastica: sono i più grandi moralizzatori, ma anche i più grandi farabutti. Quella doppia morale che permette di condannare civilmente O.J. Simpson e di assolverlo per un assassinio che era palese. Noi dagli Stati Uniti abbiamo importato quasi tutto. Purtroppo non il pragmatismo, ma le cose più stupide. Per fortuna da noi questo moralismo non ha attecchito. Se non tra i magistrati e la stampa. Mi scusi, eh…».
Prego...
«Io non so se sono rincoglioniti o in malafede. Io ho grande fiducia sia nei magistrati che nei giornali, ma se tradiscono il loro ruolo la gente perde fiducia e lo Stato va a ramengo».
Lei si definisce un artista politicamente scorretto.
«Non so se sono il più bravo, ma sicuramente sono uno fuori dal coro. Per anni Roberto Benigni andava a Sanremo a fare la sua predica. Questi comici, tutti strapagati e miliardari, la cui unica comicità era contro Bettino Craxi o Silvio Berlusconi. Io sono della razza di Walter Chiari. Al pubblico do i bigliettini e chiedo di indicare i temi».
La più grande vittima del politically correct?
«Gli insegnanti, poveretti, costretti a stare attenti a tutto quello che dicono. Devono sottostare all’imbecillità dei genitori che li picchiano perché non fanno tenere il cellulare in classe ai figli, alla vessazione dello Stato che li sottopaga e a quella degli studenti che hanno fatto loro la cultura del piagnisteo. Ormai c’è una giustificazione a tutto».
Lei è mai stato vittima del politicamente corretto?
«Ci hanno provato ma hanno smesso subito. Era il periodo del Me Too, mi hanno detto: stai attento che diciamo le tue perversioni. Ho subito risposto: faccio un nuovo programma, lo chiamiamo Parafilia, io dico la perversione e il pubblico deve indovinare le protagoniste».
Produrre Roman Polanski fa parte del suo essere politicamente scorretto?
«Vuole dire non lavorare più con le major americane, avere contro tutta una serie di cretini in Italia che si sentono offesi perché difendo uno stupratore. Ma nessuno dice che la cosiddetta stuprata ha dichiarato che era consenziente e che adora Polanski. È un tema chiuso. Io sto con Roman, che oltretutto è un mio amico. Me ne hanno fatto di tutti i colori».
Chi stima in questa Italia?
«Avevo un amico nella sua bellissima isola, Armandino Corona. E ancora Francesco Cossiga, Gianni De Michelis, Craxi. Dobbiamo ritrovare la gente con le palle e non miracolati dalla sinistra. Mi chiedo: la destra vuole il cambiamento? Per ora non vedo segnali nel mio campo, quello della cultura, dell’alta professionalità. Io appartengo a questa parte del Paese, quella che lo ha reso migliore nelle università, nella politica, nel teatro, nella medicina. Siamo un Paese migliore di Francia e Inghilterra. Ma questo si fa con squadre di eccellenza e non con l’appartenenza».
Lei è stato anche deputato, eletto in Sardegna.
«Sono uscito pulito nonostante le file di lobbisti che mi chiedevano di inserire questo o quell’emendamento. La cosa più divertente è stata vederli andare in galera».
Anche in tv con “C’eravamo tanto amati” era già politicamente scorretto.
«Malgrado chi lo producesse, una gigante come Fatma Ruffini, fosse convinta di avermi affidato uno show drammatico. “Perché ridono?”, mi chiedeva».
Come vede la televisione di oggi?
«Confusa, ma chissà che non ritrovi la strada giusta. A gennaio tornerò su Rai 3 con un programma sempre sotto Rai Cultura, che seguirà le orme di Barba Trucco, ma sarà ancora più colto e più dirompente».