La Nuova Sardegna

Il libro

Carlo Emilio Gadda nell’isola: «Sardi selvatici, rompiscatole e inospitali»

di Luciano Piras

	Carlo Emilio Gadda
Carlo Emilio Gadda

L’uomo-ingegnere e lo scrittore nel saggio di Angela Guiso in cui emerge un rapporto conflittuale con la Sardegna

29 luglio 2024
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Meteoropatico e insofferente, come suo solito. Eppure sempre ironico, profondamente ironico, sagace e tagliente come soltanto il 27enne ingegner Gadda sapeva essere anche davanti ai patemi d’animo e al duro lavoro lontano dalla sua casa in Lombardia, in quel di Milano.

Pungente e sarcastico persino davanti al mare calmo dell’isola di Sardegna, nell’area sud-occidentale in particolare, allora alle prese con la siccità e con la malaria. «Il clima è molto antipatico – scriveva Carlo Emilio Gadda alla sorella Clara da Porto Vesme il 2 ottobre del 1920 –: ora è sopportabile, salvo che nelle giornate in cui soffia il levante, ma prima era infernale».

Il 10 ottobre sottolinea: «Il clima è ora freschissimo, il mare stupendo». Il 12 ottobre: «Io sto ora benissimo; il clima è fresco e discreto». Ancora più acuminato, il giovane ingegnere e futuro scrittore, quando tratteggiava i caratteri tipici dei sardi: «L’unico guaio è il clima e la gente selvatica, rompiscatole, inospite».

Sono alcune delle testimonianze epistolari riportate da Angela Guiso nell’illuminante saggio “Gadda e la cultura del ’900”, uscito lo scorso gennaio per i tipi delle edizioni Inschibboleth di Roma nella collana “Studi letterari” diretta da Gianni Turchetta. Un libro (222 pagine, 20 euro) che ripercorre l’intera opera gaddiana a poco più di cinquant’anni dalla morte dell’autore del celebre romanzo “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” e a sessanta dalla pubblicazione della “Cognizione del dolore”, capolavoro incompiuto pubblicato nel 1963, dieci anni prima della scomparsa del Gran Lombardo (Giulio Cattaneo, suo collega e biografo docet).

È nelle viscere delle parole lasciate da questo grande scrittore del Novecento europeo, che Angela Guiso, nuorese, critica letteraria e autrice di diverse monografie, entra con rigore e metodo per cavarne una lettura e un’indagine nuove, profondamente psicologica, certamente di non facile approccio, ma di sicuro originale e alquanto coinvolgente. Guiso scava e scava , descrive lo scrittore, scandaglia l’uomo. «Bizzarro e solitario» così Italo Calvino definiva Carlo Emilio Gadda. Particolarmente dotato di humour, così diceva di lui l’amico Goffredo Parise. Del resto se è vero che il giovane Gadda strigliava i sardi, è anche vero che bastonava se stesso autodefinendosi «animo rognoso, stizzoso e cattivello».

Ingegnere elettrotecnico, ironizzava presentandosi come “ingegnere elettricista”. Altre volte ha scritto di sé che era un “ingegnere fantasia”. Di certo, Carlo Emilio Gadda aveva una passione innata per la letteratura così come per l’arte. Per lui le parole erano come i colori per un pittore, la tavolozza era il vocabolario. Basta leggere le sue relazioni tecnico-scientifiche, per intravvedere, tra le formule matematiche e le composizioni chimiche dei minerali, la forte propensione per la narrativa. Mai banale, ma sempre curato, preciso e ricco di pennellate e di metafore.

Gadda, del resto, era anche un poeta. Intellettuale complesso, molto raffinato, continuamente alle prese con «il patimento dell’io e la dolente inadeguatezza a sciogliere il groviglio dei fatti e delle loro cause – scrive Angela Guiso –. Insieme, parole come tragico e comico, io, colori e arte rinviano, emblematicamente, alla vastità di temi e pensiero colti nel suo ‘lungo guardare’». Classe 1893, milanese di nascita, Carlo Emilio Gadda è morto 80enne a Roma. Ingegnere di professione, è stato a lungo collaboratore della Rai per i programmi culturali. In Sardegna ha avuto il suo primo incarico lavorativo, al seguito della Società Elettrica.

Era sbarcato nell’isola il 6 agosto del 1920 e nell’isola è rimasto fino al 27 novembre dello stesso anno. «Una stagione molto tormentata», per lui, spiega ancora Guiso. «Ho molto lavoro e l’orario delle otto ore è sempre superato» scriveva Gadda da Cagliari alla sorella Clara –. Devo disegnare, fare calcoli e progettini di linee, e occuparmi della sorveglianza della centrale (...) Sono soddisfatto dell’impiego, che realmente è buono, buonissimo e mi consente di far pratica in molte cose. Il direttore, come pure il rag. Lazzari sono simpaticissimi (...) Abitanti piuttosto antipatici, non però cattivi. Vita d’insieme molto misera. Paesi che non hanno nulla. Cagliari è discreta, ma non c’è mezzo di fare una conoscenza. Come ti ripeto ho realmente un grande lavoro e quindi poco tempo per scrivere, e niente per far altro. Dalle otto di mattina si va fino all’una, dalle due e mezzo tre alle otto. Dopo pranzo passeggio un po’ in via Roma, una specie di allée lungo il porto».

Insomma: tra Gadda e la Sardegna non si può certo dire che sia stato amore a prima vista. Anzi! In compenso il futuro scrittore ha toccato con mano i fermenti sociali del bacino minerario del Sulcis. Il 1920 è stato un anno di grandi tensioni. In una lettera inviata alla sorella segnalava che «siccome c’è in vista uno sciopero, dovremo forse sospende il servizio di Porto Vesme e mandare avanti Cagliari con gli ingegneri e capitecnici». La stessa notizia è rintracciabile in un’altra lettera ancora inviata all’amico Ugo Betti. Mercato, manodopera, organizzazione operaia stavano particolarmente a cuore, evidente, al Gran Lombardo. Del resto, è del maggio di quello stesso 1920 la strage di Iglesias: le forze dell’ordine spararono sulla folla uccidendo sette uomini e ferendone ben 26. I disordini erano poi proseguiti anche a settembre e ottobre. Senza dimenticare che attorno a Baku Abis, Monteponi e Porto Vesme era freschissimo il ricordo dell’eccidio del 4 settembre 1904 con i morti di Buggerru. Questa era la Sardegna di Carlo Emilio Gadda, «fiera ed amena isoletta nei pressi di Timbuctu» scherzava lui che fresco di laurea avrebbe voluto «andare un po’ all’estero».

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