La Nuova Sardegna

L’intervista

Elio e le Storie Tese a Cagliari ed Alghero: «Fedeli alla tradizione, come le tagliatelle»

di Paolo Ardovino

	Elio e le Storie tese
Elio e le Storie tese

Faso: «La gente si aspetta da noi una band che suona bene, tutto dal vivo, senza autotune»

30 luglio 2024
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Sacro e profano. La sacralità della musica e l’atteggiamento dissacrante nei temi. Ormai il marchio è riconoscibilissimo. Quelli di Elio e le Storie Tese, che tornano nell’isola con una doppia data: oggi 30 luglio al Teatro Massimo di Cagliari per Rocce rosse blues, domani 31 luglio all’anfiteatro Ivan Graziani di Alghero per il festival Abbabula. In entrambi i casi, porteranno dal vivo il tour “Mi resta solo un dente e cerco di riavvitarlo”. A parlare è Faso, lo storico bassista del gruppo.

Tornate con uno spettacolo nuovo, cosa c’è da aspettarsi?

«Qualcuno potrà rimanere colpito perché la selezione dei brani è particolare. Quando abbiamo deciso di chiedere l’apporto a Giorgio Gallione, regista teatrale che aveva già lavorato con Elio negli spettacoli su Gaber e Jannacci, abbiamo anche pensato che sarebbe stato simpatico affidarci a una persona esterna. Ha inanellato i nostri brani in modo che il nostro spettacolo risultasse un faretto acceso su vizi, costumi, segreti dell’Italia».

Per esempio?

«Suoniamo “Valzer trangenico”, che quando l’abbiamo composta non mi piaceva, ma portata dal vivo mi è piaciuta un sacco». Diciamo che sarà un racconto della Terra dei cachi aggiornata. «La Terra dei cachi si è evoluta perché si è evoluto anche il crimine. Non è più la gang della Milano anni ’70, ma si occupa di questioni economiche, di investimenti, per dire».

Quando portate dal vivo brani ormai storici della vostra discografia vi divertite a cambiare qualcosa o rimanete fedeli all’originale?

«Certo ci divertiamo a inventarci arrangiamenti alternativi, ma siamo cultori di Peter Gabriel, Beatles e sir Paul, Led Zeppelin, tutti loro hanno scritto e cantato la loro musica esattamente come l’avevano composta. Quando cambi qualcosa perché ti annoi commetti un errore, quando vuoi sentire “Uccelli” di Battiato, la versione migliore è quella di Battiato, non c’è niente da fare. “Tapparella” è un po’ la nostra Hey Jude” e se la facessimo diversamente saremmo stupidi, perché la gente ci ricollega le proprie emozioni in quel brano».

E neanche il vostro modo di stare sul palco è cambiato.

«E anche la gente da noi continua ad aspettarsi una band che suona bene, tutto dal vivo, senza autotune. Forse è un modo fuori dal tempo... però anche la tagliatella della nonna può sembrarlo e poi è in grado di distruggere il panino del fast food, anche già solo coi profumi. Siamo convinti, e magari è un approccio antico, che sul palco bisogna saper cantare e suonare».

Faso, cosa rappresenta la musica nelle sue giornate? Preferisce stare in studio o suonare dal vivo?

«Stare in studio mi piace perché è come far nascere un bambino, non c’è l’atto sessuale, che è molto più semplice, ma un atto creativo e compositivo. Sul palco però è proprio casa, sono felice. Ora è ancora come nel 1987, quando al “Magia” finisci il concerto con le mani stanche ma se arriva il gestore a chiederti di ripartire io sarei il primo a risalire. Il tempo vola».

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