La Nuova Sardegna

L’intervista

Nando Dalla Chiesa: «La lotta alla mafia parte dalle donne»

di Paolo Ardovino
Nando Dalla Chiesa: «La lotta alla mafia parte dalle donne»

Il sociologo all’Asinara, a Sassari e a Palau. Con “Le ribelli” racconta le storie di attiviste e testimoni

26 agosto 2024
4 MINUTI DI LETTURA





Le ribelli sono sorelle, mogli, madri, che desideravano una vita normale, e in cambio hanno ricevuto invece degli squarci nel cuore. Ma con forza hanno trasformato lotte personali in lotte di comunità e di Stato. Nando Dalla Chiesa, sociologo, docente all’Università degli studi di Milano, esperto di mafie, figlio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, porta nell’isola il libro “Le ribelli. Storie di donne che hanno sfidato la mafia per amore” (Solferino, 2024).

Ieri, 25 agosto, era all’Asinara con Giacomo Mameli per “Pensieri e parole”. Questa sera per il festival “Liquida” è a Sassari nella comunità di accoglienza per detenuti “Don Graziano Muntoni” con Elias Vacca e don Gaetano Galia. Mercoledì 28 agosto è al centro di un dibattito allargato, in piazza Popoli d’Europa a Palau, con la senatrice Vincenza Rando, il giornalista Paolo Borrometi e moderato dalla docente Liliosa Azara. Appuntamento della rassegna “Di mare e di stelle”.

“Le ribelli” torna dopo la prima uscita nel 2006, cosa è cambiato?

«Il capitolo legato a Lea Garofalo ha avuto un cambiamento importante (testimoniò contro le faide tra la sua famiglia e quella del suo ex Carlo Cosco, venne uccisa nel 2009, il corpo sciolto nell’acido e poi bruciato, ndr). In termini di opinione pubblica, la sua storia ha scosso molto ed è un caso che ha coinvolto direttamente Milano. Poi ho cambiato il capitolo dedicato a Rita Borsellino, perché quando lo scrissi la prima volta si era appena candidata alle regionali in Sicilia. Non ero stato in grado di capire il lascito di quella sua candidatura. Oltre a essere sorella di Paolo Borsellino, ha portato avanti un’attività importante e mi ricordo un incontro con due studenti, avevano il biglietto dell’ultimo treno “Rita express”: lì ho rivisto il senso di quella candidatura».

Qual è il ruolo delle donne nella lotta alla mafia?

«Penso si possa sostenere che le donne siano la vera e propria nervatura del movimento antimafia. E non che ci siano “anche” loro. Si ricollega con ciò che succede nel mondo, con la rivoluzione femminile. Lo vedo anche all’università, nelle tesi e nelle ricerche delle mie studentesse. Sono davvero loro la spina dorsale».

Le chiedo allora quali sono le donne principali che racconta nel suo libro, quali le storie imprescindibili.

«Ci sono donne che ho potuto conoscere e con cui ho stretto dei legami, particolarmente con Saveria Antiochia o con Michela Buscemi. Ma penso anche a Felicia Impastato e appunto a Rita Borsellino. La prossima settimana grazie all’università andremo con quaranta studenti a incontrare Michela Buscemi, unica sopravvissuta di queste donne, ed è un appuntamento tanto atteso. Lei, dal punto di vista dello studioso, rappresenta un caso di interesse straordinario».

Perché?

«La sua storia è una grande smentita a tutte le teorie sociologiche sul perché si entra nella mafia. Mi spiego, lei ha tutto: una famiglia emarginata, un quartiere bombardato, non ha portato avanti gli studi, tutto porterebbe a una persona che si ricava una nicchia nella classica cultura di quartiere... e invece è una figura rivoluzionaria, e questo mi affascina. Due fratelli sono stati uccisi perché facevano il contrabbando senza chiedere a Cosa Nostra. Si è costituita parte civile al maxi-processo di Palermo. Lei è stata la testa delle donne in rivolta nei quartieri. Ha una forza di lotta nei confronti della mafia enorme. E abbatte il cliché che vuole che in certe condizioni si finisca dentro la mafia».

Invece è sempre una questione di scelte, chiaro. Nei suoi ultimi interventi pubblici ha più volte ribadito il ruolo della memoria. La memoria come arma di lotta alla mafia, in che modo?

«La memoria consolida le identità e noi abbiamo bisogno, in questo momento, di identità forti e non di società liquide. La memoria aiuta a costruire la propria identità di popolo e saper onorare i propri esempi, i propri eroi, trarne degli strumenti. Significa sentirsi parte di una storia. In questo momento, mentre noi stiamo parlando, sono sicuro ci siano centinaia di luoghi dove i giovani di “Libera” stanno raccontando delle storie di qualcuno che ha lottato contro la mafia. “Libera” ha fatto una cosa importante, ha fatto istituire una giornata per la memoria delle vittime di mafia, il 21 marzo».

Qual è la consapevolezza dei giovani sulla lotta alla mafia?

«La risposta c’è, lo vedo anche nella disponibilità al sapere e al ricevere. Nel mio corso universitario comincio sempre con “c’era una volta”. L’ho imparato dal periodo del Covid, quando il problema era catturare l’attenzione degli studenti a distanza e suggerivano di usare piccoli spot. La risposta c’è, e la mafia non è più assolutamente una questione solo siciliana».

In Primo Piano
Il caso

Luca Barbarossa infuriato in aeroporto a Cagliari: la provocazione e il post contro i voli in ritardo

Le nostre iniziative