La Nuova Sardegna

L’intervista

Lorenzo Flaherty: «La Sardegna è la mia seconda casa, mi piace passeggiare al Poetto»

di Alessandro Pirina
Lorenzo Flaherty: «La Sardegna è la mia seconda casa, mi piace passeggiare al Poetto»

L’attore è sposato con Roberta Floris, figlia dell’ex sindaco di Cagliari, Emilio: «Quando arrivo nell’isola abbraccio tutto: cultura, abitudini, aspetto umano.»

21 settembre 2024
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Nel primo “Distretto” era il poliziotto che fece capitolare la commissaria Isabella Ferrari. Per cinque stagioni è stato il capitano Venturi della squadra dei “Ris” che ogni settimana incollava milioni di spettatori su Canale 5. Sono tante le fiction a cui Lorenzo Flaherty ha prestato il volto, da Rai a Mediaset. In questo momento l’attore 56enne si sta dedicando soprattutto al teatro. E quando può stacca per venire a Cagliari, la città della moglie Roberta, figlia dell’ex sindaco Emilio Floris.

Lorenzo, partiamo dalla Sardegna. Lei ormai qui è di casa...

«Io ho due luoghi del cuore: uno è Roma, l’altro la Sardegna. Quando arrivo nell’isola abbraccio tutto: cultura, abitudini, aspetto umano. Sembra scontato dire anche la luce, il mare, ma è davvero così. La Sardegna è un punto di riferimento non solo per la famiglia ma anche come territorio. È una seconda casa».

Come si svolge la sua vita cagliaritana?

«Vivo Cagliari con un senso familiare spiccato, visti gli splendidi rapporti che ho con la famiglia di mia moglie Roberta. E poi negli anni mi sono fatto tantissimi amici. Mi piace uscire, camminare per la città, salutare amici, il Poetto. Sempre giornate piene. Cagliari ha una qualità della vita altissima, difficile da trovare altrove. Arrivo a Elmas e dopo 15 minuti sono seduto a pranzo o a cena: in quale altra città può succedere? Dei cagliaritani mi piace il fatto che sono ben consapevoli di dove vivono. Ristoranti e bar sempre pieni, al cagliaritano piace uscire. E poi amo l’aspetto culturale: è una città che offre davvero tantissimo».

Lei è per metà irlandese. Secondo molti - Cossiga tra questi - ci sono affinità con i sardi.

«Sposo in pieno il pensiero del presidente Cossiga che ebbi modo di conoscere in tv. Io promuovevo “Ris” e Cossiga mi raccontò che fu lui a creare il reparto investigativo: personalità meravigliosa. Ritorando agli irlandesi, è vero: io li definisco i mediterranei del nord. Ci sono tante e profonde similitudini nel modo di affrontare la vita: il calore umano, l’apertura mentale, l’aspetto religioso».

Il cinema era il suo sogno?

«Sì e no. C’era un’idea di fare un altro percorso. Questa passione l’ho scoperta attraverso un compagno di banco che un giorno accompagnai a una lezione di arte e recitazione. Rimasi estasiato e iniziai a volere conoscere quella che era l’arte cinematografica. A un certo punto ero diventato una spugna e il mio percorso è stato dettato da questa irrefrenabile passione».

E si ritrova subito sul set.

«Feci un provino in inglese per un film di Tonino Valerii, “Il distruttore”, e mi presero. Io ero titubante, pensavo di dovere crescere ancora un po’. Fu Valerii, regista straordinario, a dirmi: “no, ti devi buttare: è la parte giusta per te”. La prima mattina arrivai sul set al trucco e al mio fianco c’era seduto Toshiro Mifune. Ero incantato nell’osservare questo signore che nella sua straordinaria educazione nipponica si era alzato per salutarmi. È qui che faccio partire la mia esperienza. Ero tremolante, ma avevo capito che non poteva che essere un bel viaggio. Aveva ragione Valerii: il mattone su mattone si mette sul set, si lavora con continuità. E infatti io ho sempre alternato grandi produzioni e lavori più piccoli. Sentivo la necessità di stare sul set».

Prima fiction di successo, “Piazza di Spagna”, dove è il fidanzato di Lorella Cuccarini.

«Fu meraviglioso. Quella miniserie, una delle prime di Canale 5, diretta da Florestano Vancini aveva un cast pazzesco: Lorella, la regina della tv, attori internazionali, e poi Enrico Maria Salerno, il mio maestro. Le musiche erano di Ennio Morricone, il direttore della fotografia Blasco Giurato. Questo fa capire la cura spasmodica con cui si costruiva il lavoro in quegli anni».

La popolarità con “Distretto di polizia” e “Ris”. Qual era il segreto di quelle serie?

«Con queste due serie è iniziata una nuova era delle fiction. Il tipo di recitazione era più naturale, più spontaneo. E poi autori straordinari, un gruppo di registi fantastici. Già dalla sigla capivi che “Distretto” era qualcosa di diverso. I Ris sono emersi nell’opinione pubblica attraverso la serie. Molti non sapevano che avessimo un gruppo investigativo di così alto livello. E poi c’era la sfida tra Rai 1 e Canale 5. Pensavi al pubblico, dovevi piacere, essere vincente. Sono stati anni molto belli e importanti. L’attore di fiction era molto responsabilizzato».

Il successo in tv l’ha un po’ ostacolata al cinema?

«L’Italia è un Paese particolare. Nei paesi anglosassoni uno fa tutto, da noi o cinema o tv o teatro. Al di là di questo mi è capitato di rifiutare importanti proposte cinematografiche quando facevo “Ris”, stavo sul set nove mesi di fila. Ho avuto tante occasioni perse ma ero felice di fare qualcosa che piaceva».

Il suo rimpianto più grande?

«Ho fatto tanti lavori all’estero, alcuni in Italia non sono neanche usciti. Più di una volta mi è stato chiesto di stabilirmi fuori per lavori più lunghi, ma non l’ho mai fatto. Forse questo è l’unico rimpianto».

Rifarebbe il Grande fratello?

«Per me che amo la libertà essere chiuso in un posto non è stato facile. Ma è stata una sfida vinta, mi ha portato a conoscere tante belle persone e fa parte anch’essa del bagaglio delle esperienze dello spettacolo».

Ultimamente si dedica più al teatro. Un ritorno alle origini?

«Continuo a fare fiction, cinema, ci sono proposte che penso che accetterò, ma ho sentito la necessità di fare teatro perché mi è ritornata fortemente questa passione iniziale che ho sempre avuto. Ora stiamo preparano uno spettacolo bello, impegnativo, ambizioso, “Il visitatore”, regia di Francesco Branchetti, un confronto tra Freud a 82 anni e un personaggio che sostiene di essere Dio. Un viaggio attraverso l’anima, l’ignoto».

Dopo quasi 40 anni di carriera si possono avere sogni nel cassetto?

«Bisogna sognare, fantasticare. I sogni fanno parte della vita. Io sono come Freud nello spettacolo: conservo una lucidità mentale ma ho anche una spiccata curiosità verso il mondo. La vita è una grande esperienza e i sogni che diventano realtà danno una soddisfazione incredibile».

Un sogno nel cassetto?

«Una serie tv, un mistery. Lo inizio a scrivere, lo metto da parte, poi lo riprendo. Arriverà il momento giusto per farlo».

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