La Nuova Sardegna

L’intervista

Piero Chiambretti: «Ho portato il varietà anche a Orgosolo, lì è nata l’amicizia con Benito Urgu»

di Alessandro Pirina
Piero Chiambretti: «Ho portato il varietà anche a Orgosolo, lì è nata l’amicizia con Benito Urgu»

Il grande mattatore è tornato su Rai 3 con “Donne sull’orlo di una crisi di nervi”: «Lavorare a viale Mazzini è come giocare in Nazionale»

04 ottobre 2024
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È tornato in Rai dopo 22 anni. Nel mezzo le mitiche Markette a La7 e 15 anni a Mediaset. Una carriera lunga quasi 40 anni sempre all’insegna dei suoi marchi di fabbrica: l’intelligenza, l’irriverenza, l’ironia, senza mai trascendere nella volgarità. E questa è anche la cifra di “Donne sull’orlo di una crisi di nervi”, lo show a metà tra il talk e il varietà che Piero Chiambretti conduce ogni giovedì alle 21.30 su Rai 3.

Chiambretti, cosa voleva fare lei da grande?

«Sicuramente volevo vivere da uomo libero. A mia madre avevo detto: se a 30 anni non ho combinato nulla vado in India. Questo senza avere mai fumato una canna o preso acidi. Ma avendo il terrore di finire alla Fiat o alla Sanpaolo, che erano le entità torinesi più ambite, l’India era il posto più lontano».

In tv come è riuscito a imporsi e diventare Chiambretti?

«Cercavo di fare di necessità virtù. Io ho costruito la mia prima fase nelle tv locali attraverso la figura minuta di Pierino la peste, lo stare tra la gente. Vincendo il concorso Rai sono stato inserito in programmi per bambini, dove ho imparato a stare davanti alle telecamere. Finché le vecchie cose locali non sono arrivate ad Angelo Gugliemi».

E con Guglielmi diventerà una colonna di Rai 3.

«Fu una fatalità. Allora sarei dovuto andare altrove, avevo avuto un contatto con l’allora Drive in. Ma io sono sempre stato un individualista. Essere un piccolo numero dentro un gruppo grande non l’ho mai digerito. Io scrivo, leggo, faccio la scaletta, scelgo gli ospiti. Sono un tuttofare e se sbaglio è colpa mia».

A Telekabul eravate davvero tutti comunisti?

«Ero molto amato dai comunisti. Già il fatto che fossi il più piccolo e non venissi mangiato ne è una prova. Sicuramente in quella Rai 3 c’era un’aria di sinistra. Mi trovavo benissimo in quella sinistra, anche se un conduttore deve fare la politica dentro la cabina elettorale e non in uno studio tv. Più avanti ho preso le distanze da tutti: non mi sento rappresentato da nessuno».

In Prove tecniche di trasmissione riportò in tv Herrera, Paternostro, Marianini, Loy.

«Erano i personaggi della mia infanzia. Sono stato il primo a riutilizzare personaggi della storia in un contesto diverso dal loro, unendo l’alto e il basso».

Con Prove tecniche venne in Sardegna, a Orgosolo, dove per la prima volta sbarcava la Rai per un varietà anziché per episodi di nera.

«Andammo apposta dove arrivava solo il telegiornale per raccontare fatti tragici di cronaca nera. A Orgosolo è nata anche la mia amicizia profonda con Benito Urgu. Io parlavo italiano, lui sardo stretto: eravamo due sordi. Benito è una persona generosa, un grande professionista. C’è anche un altro sardo a cui mi sono legato molto, Enzo Fortunato. Lui era il jolly del Forte Village, l’ho voluto con me a Tiki Taka. Se fosse ancora con noi sarebbe sicuramente a Donne sull’orlo di una crisi di nervi».

La sua tv era fatta di uomini, ora i suoi cast sono interamente femminili. C’è un motivo?

«Tutto nasce con Boncompagni. A Chiambretti c’è ero circondato da 120 laureande e ho scoperto un paradiso terrestre. In quello studio c’erano energia, vivacità, quella competitività che permette di alzare il livello del prodotto. Dal 2001 ho iniziato a lavorare sull’universo femminile, non solo donne belle e punto, ma anche brave. Un talento che può piacere anche alle donne».

Ha lanciato tra gli altri Signorini, le De Blanck, Drusilla, Della Gherardesca, Malgioglio. C’è qualcuno di cui si è pentito?

«Pentito nessuno, ma la riconoscenza forse non è stata tale da gratificarmi. A me non è che servisse granché, ma ogni tanto un grazie, una citazione non mi sarebbero dispiaciuti».

Ha lasciato Mediaset dopo 15 anni: perché ha voluto ringraziare Pier Silvio Berlusconi con una pagina sul Corriere?

«Perché non avrei dovuto farlo? Io faccio sempre quello che vorrei venisse fatto a me nella stessa situazione. Da Pier Silvio ho avuto carta bianca e volevo chiudere con una significativa dimostrazione di affetto».

Come ha trovato la Rai? «In 22 anni una persona cambia fisicamente, mentalmente. Non potevo pensare di trovare una Rai ferma. A seconda dei governi ha avuto momenti migliori o peggiori, ma resta la più grande azienda culturale italiana per mezzi di diffusione e mentalità che esprime. È come giocare in Nazionale. Non c’è più Guglielmi, ma ci sono persone che finora con me si sono comportate bene. Ho chiesto due programmi e due me li hanno concessi».

Tre Sanremo con – nell’ordine – Mike, la Carrà e Pippo Baudo: con chi farebbe il quarto?

«Lo farei da solo. Ho imparato a sufficienza a fare e disfare un festival. Nel primo avevo chiesto io di essere avvicinato a una figura di riferimento: doveva essere Baudo, che però andò via dalla Rai e riuscii a ottenere Bongiorno. Il secondo lo feci per caso. Ero stato chiamato a fare parte della giuria di qualità, ma la notte precedente al festival, all’insaputa di Raffaella, misi su un piccolo spettacolo con festival della canzone napoletana. Il terzo con Baudo è stato sfortunato. L’anno prima lui aveva fatto un ottimo Sanremo con la Hunziker e io un meraviglioso dopofestival. Decidemmo di fare Sanremo insieme, ma in quella occasione il vecchio Baudo sbagliò le due donne del festival e in più, essendo un purista, all’epoca non credette che i talent potessero sfornare cantanti di valore».

Il Covid è stata una fase terribile della sua vita. Oltre il dolore per la morte di sua madre cosa le ha lasciato quell’esperienza?

«Tutto quel periodo, dal giorno del ricovero alla morte di mia madre, fino alla mia guarigione, è congelato nella mia memoria come fosse staccato dalla realtà di oggi e da quello che era successo prima. La morte di mia madre è uno choc che non si è risolto e non si risolve col tempo che passa. A chi ancora parla di complottismo posso dire che ho vissuto il Covid e ho visto morire tantissime persone perché il vaccino non lo avevano fatto. Su milioni di persone sicuramente tante hanno avuto complicazioni, in una guerra come è stata quella del Covid purtroppo qualcuno ha dovuto lasciare il campo, ma senza vaccini non avremmo ripreso una vita quasi normale, ora di nuovo distrutta dalle notizie che purtroppo arrivano da Ucraina e Medioriente».

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