La Nuova Sardegna

L’intervista

Michele Cucuzza: «Ho intervistato Pertini dandogli del tu. La Vita in diretta? Esiste grazie a Freccero»

di Alessandro Pirina
Michele Cucuzza: «Ho intervistato Pertini dandogli del tu. La Vita in diretta? Esiste grazie a Freccero»

Il giornalista storico volto del Tg2 ora al timone del telegiornale di Antenna Sicilia si racconta: Radio Popolare, la Rai, Cortellesi, Carrà

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Dal tg al tg. Michele Cucuzza è ripartito da dove tutto era cominciato. Appunto dal telegiornale. Per dieci anni firma e volto di punta del Tg2, ha poi trascorso altri due lustri al timone della Vita in diretta, lanciando quell’infotainment che da allora impazza su tutte le reti televisive. Adesso, dopo esperienze diverse compreso il varietà e un passaggio al Grande fratello, è ritornato al tg. Nella sua Catania, dove dirige e conduce il telegiornale di Antenna Sicilia.

Cucuzza, quando ha detto: voglio diventare giornalista?

«Ero alle scuole medie e mi inventai un giornalino, “Michelino varietà”. Presi un quaderno a quadretti e cominciai a incollarci foto, a fare titoli, didascalie, articoli che scrivevo o scopiazzavo. Mio padre era un vulcanologo importante e a casa c’era tutta la stampa: il Corriere, Epoca, il Giorno, la Sicilia. Tutta questa informazione mi ha sempre incuriosito, come mi incuriosivano questi giornalisti che giravano il mondo. Poi ho continuato con i giornalini di scuola, finché non ho iniziato a frequentare l’università a Catania».

Di lì a poco però si trasferirà a Milano.

«C’era già mio fratello, e poi era la capitale dell’editoria e dei movimenti studenteschi. In quegli anni ho frequentato quegli ambienti e fu proprio lì che nacque l’idea di una radio...».

Radio Popolare, che sarebbe diventata un’istituzione.

«È lì che ho imparato il mestiere grazie a un direttore come Piero Scaramucci, grande inviato del Tg2. Fu lui a insegnarci che non dovevamo parlare a chi la pensa come noi, ma che dovevamo fare una cosa più professionale, apprezzata e ascoltata da tutti. In quegli anni ho imparato che non contano l’ideologia o l’orientamento, ma il mestiere, la velocità, i racconti ricchi di notizie e testimonianze. E infatti non è un mistero che al tempo le redazioni dei giornali milanesi tenessero accesa Radio Popolare. Eravamo un bellissimo gruppo che comprendeva Gad Lerner, Paolo Hutter, Nini Briglia, Vera Montanari...».

Lei era comunista?

«No, noi eravamo extraparlamentari di sinistra. Eravamo gli irriducibili, contrari al compromesso storico».

A Radio Popolare riuscì a intervistare il presidente Pertini.

«Sono stato in zone di guerra, ho visto crollare regimi, ma quella è l’esperienza che più di tutte mi ha coinvolto emotivamente. Sandro Pertini doveva venire a Milano per un discorso sulla Resistenza. Riuscii a sapere dove avrebbe parcheggiato l’auto dentro il cortile del Castello Sforzesco. Arrivarono prima i corazzieri in moto, poi l’auto blu. C’ero solo io, lui scese tenendo in mano la pipa come nella iconografia più classica e mi individuò subito. Avanzava verso di me. Io accesi il registratorino. “Bella barba, giovanotto”, mi disse. E io: “Grazie presidente, benvenuto a Milano”. “Cosa fai con quel baracchino?”, mi chiese. Aveva visto la spia rossa accesa...».

E cosa gli rispose?

«Gli dissi che avrei voluto una sua dichiarazione, una intervista. “Se vuoi una intervista mi devi dare del tu”, mi spiazzò. Volevo sprofondare. Pertini continuò: “Al Quirinale vengono un sacco di giovani, quindi se vuoi intervistarmi devi darmi del tu”. Insomma, ho fatto una intervista al presidente della Repubblica dandogli del tu».

Quando arriva la Rai?

«Un giorno ero in corso Buenos Aires e incontrai un mio vecchio amico del movimento. “Alla Rai stanno cercando un giornalista, perché non vai?”. Mi presentai per il colloquio con curriculum, barba e capelli lunghi. Firmai per un mese e mezzo e cominciai a bazzicare in tv. Dopo due anni di contratti a termine sono stato assunto alla testata regionale».

Nel 1987 l’arrivo al Tg2.

«C’era stata la sciagura della Valtellina e mi diedi molto da fare, lavorando per Tg1 e Tg2. E infatti tutti e due mi chiamarono. Scelsi il Tg2 perché mi proposero anche la conduzione, che poi ho mantenuto con tre direttori - Alberto La Volpe, Clemente Mimun e Paolo Garimberti - tutti di orientamento diverso».

Eravate una redazione agguerritissima: Lilli Gruber, Carmen Lasorella, Enrico Mentana, Piero Marrazzo, Clemente Mimun, Alberto Castagna.

«È stata una bella palestra per tutti noi. Ho imparato a fare le dirette, la conduzione. Poi sono passato dalla cronaca agli esteri e quella è stata la mia fortuna: New York, l’Arabia durante l’invasione del Kuwait, la crisi dell’Urss, l’Ungheria, la Polonia. E poi Londra per la morte di Diana, dove ho scoperto l’amore straordinario degli inglesi per la principessa».

Dal tg alla cronaca in diretta: come avvenne la svolta?

«Un’idea di Carlo Freccero. “Ci serve un conduttore”. Io non lo sapevo fare, ma piano piano iniziai a imparare la tecnica. Fu un successo tale che dopo un po’ ci portarono su Rai 1 dove la Vita in diretta è ancora oggi».

“Michele, Michele”. Anche Paola Cortellesi faceva l’imitazione delle sue inviate.

«Era molto divertente, ma le mie colleghe erano bravissime, non erano così».

Con Raffaella Carrà debuttò nel varietà.

«Lei era autrice di “Segreti e bugie”. Non ho mai visto una persona così meticolosa, professionale, attenta come lei».

Perché dopo anni di tg, vita in diretta e unomattina la sua strada con la Rai si è interrotta?

«Non ero più un dipendente da anni. Quando cambiano i direttori i nuovi portano la loro squadretta. In quel periodo non venivo considerato dalla nuova direzione. Sono passati i mesi, poi gli anni, finché, grazie al mio amico Antonio Azzalini, non sono approdato a Telenorba. E dopo tre anni a Bari sono stato invitato a fare il tg ad Antenna Sicilia, prima come conduttore e poi anche come direttore».

Che effetto fa dirigere il tg della sua città?

«I tg: Antenna Sicilia e Telecolor. Ne sono lusingatissimo, sono circondato da bravissimi giornalisti, ho un’ottima editrice come Angela Ciancio. E il tg delle 13.30 che conduco è il più visto dei tg siciliani e il quinto nazionale dopo Tg5, Tg1, Tg2 e Studio aperto».

Ma ha qualche rimpianto nella sua carriera?

«Dovrei avere pure dei rimpianti? Sono un uomo più che felice. Ho fatto mille cose, sempre con impegno e serietà, ottenendo in tutte enorme soddisfazione. Come continuo a fare con i tg siciliani».

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