Amanda Sandrelli: «Scoperta da Troisi e Benigni a una festa. Vorrei invecchiare in Sardegna»
L’attrice in scena tra Lanusei, Oristano e Carbonia: «Rimpianti? Una telenovela in Argentina»
In Sardegna era già venuta un anno fa con questo spettacolo, ora è di nuovo nell’isola per coprire alcuni teatri che mancavano all’appello. Ormai, da anni, Amanda Sandrelli trascorre buona parte dell’anno in tournée, il teatro è stata la sua scelta di vita. E così, dopo la tappa di ieri a Lanusei, “Vicini di casa” - in cui l’attrice divide la scena con Gigio Alberti, Alessandra Acciai e Alberto Giusta, regia di Antonio Zavatteri - oggi 25 gennaio sbarcherà a Oristano e domani a Carbonia sotto le insegne del Cedac.
Che bambina era Amanda?
«Oggi si direbbe iperattiva. In realtà ero semplicemente molto vivace. Mia zia mi chiamava “argento vivo”. Ma ero anche molto buona. Sempre mia zia toscana, che è stata la mia vice nonna, diceva che avevo un animo molto eroico: se qualcuno aveva bisogno correvo in suo aiuto. Questa cosa mi è un po’ rimasta».
Figlia di due giganti, uno della musica, l’altra del cinema: lo spettacolo era una strada obbligata o sognava altro?
«Sognavo altro perché mi sembrava una strada obbligata. Volevo fare la psicanalista già dalla terza media. E comunque non sono caduta così distante. Alla fine il mio lavoro tratta di conoscenza, si lavora su tutto quello che abbiamo dentro. Però ancora oggi mi spiace non avere continuato a studiare. Preferisco i rimorsi ai rimpianti, ma ho quello di non avere finito gli studi».
Come finisce sul set di “Non ci resta che piangere”?
«Ci finisco perché vivevo ancora con mia madre, dovevo finire il liceo. Mia madre fece un paio di feste a casa e in una di queste c’erano sia Roberto Benigni che Massimo Troisi, che io adoravo. Non sono mai stata una mondana, ma essendo quella festa a casa mia me la sono goduta, ho chiacchierato con loro. E così quando cercavano questa Pia, questa giovane rinascimentale, pensarono a me e mi fecero chiamare da Mauro Berardi».
Disse subito sì?
«Dissi che avevo la maturità, ma il fatto che il film iniziasse due giorni dopo l’esame mi sembrò un segno del destino. “Guardate che non so fare nulla”, fu la mia premessa. Non c’era un copione, c’era scritto solo: Pia giovane 15enne che si innamora di lui. Tutto quello che è venuto dopo è uscito da quelle due menti straordinarie in stato di grazia. Mi sono affidata totalmente al loro talento. Ma avevo una piccola dote: orecchio, memoria, senso del ritmo».
E così diventa attrice.
«Dopo quel film mi sono arrivate tantissime altre proposte, ma ho sempre pensato che non sarebbe stato il mio lavoro, che avrei fatto altro. Quando rivedo tutti i miei primi film mi piglia un colpo: vedo tutti i difetti, cose che non vanno. Non ho avuto il tempo di imparare questo mestiere, ero direttamente sul set».
Secondo film con sua madre, “L’attenzione”.
«Ci ho pensato tanto, fare una cosa con mia madre mi sembrava di approfittare troppo. Ma c’era Ben Cross reduce da “Momenti di gloria”, era un film in presa diretta, un bel ruolo e ho detto sì. Poi però per tanti anni non ho più lavorato con mia madre, me l’hanno proposto mille volte ma volevo camminare con le mie gambe».
Al cinema diretta da Bertolucci, Corbucci, Nichetti, fino a Salvatores e Muccino. Ha qualche rimpianto di quell’epoca?
«Più che di una cosa artistica di una esperienza di vita. Avevo fatto da guest star in una telenovela, “Milagros”, e andai a girare a Buenos Aires. Me la cavavo con lo spagnolo e il produttore mi propose di fare la protagonista della telenovela seguente. Sarei dovuta restare un anno in Argentina, ma un po’ per amore, un po’ per altre proposte, un po’ per paura, dissi di no. Ci ho ripensato tante volte e se tornassi indietro credo che la farei».
Nel 1992 con suo padre canta “La bella e la bestia”: fu lui a proporglielo?
«La Disney gli aveva chiesto di fare un duetto con una voce femminile. Io ai tempi cantavo benino, avevo un bel timbro, me lo propose e accettai. La musica fa parte da sempre della mia vita».
Da piccola si vedeva più cantante che attrice.
«Se da ragazzina avessi pensato a una vita artistica mi sarei immaginata a cantare. Ma i miei modelli erano molto alti: soul, rhythm and blues. Cose anche culturalmente diverse rispetto a quelle dell’epoca».
Cosa è per lei il teatro?
«Una scelta di vita. È arrivato nel 1993 grazie a una proposta di Duccio Camerini e quasi subito ho cominciato a capire che poteva essere il posto giusto. Quel dubbio che avevo sul cinema, che non sarebbe mai stato il mio lavoro, lì non lo avevo più. Il teatro mi si addice di più, mi manca se non lo faccio, cosa che al cinema non mi è mai successa. E così ho iniziato a dedicarmi principalmente a quello e spazio per il resto ne è rimasto poco».
“Vicini di casa” è una commedia in cui si ride tanto.
«È una commedia scritta molto bene dal punto di vista della comicità, ma è anche molto profonda. Questa coppia stanca, che non riesce più nemmeno a toccarsi, fa molto ridere, ma ti commuove anche. Queste due persone si amano, ma l’amore spesso non basta e a volte i rapporti si logorano. Nella commedia si parla di sesso, ma soprattutto di quanto sia importante l’erotismo in una coppia. Se manca non è una cosa buona».
La prima volta in Sardegna?
«Ero bambina, a Liscia Ruja a Porto Cervo. La spiaggia era deserta, un paradiso terrestre. Ma la Sardegna continua a essere così: oggi il mio luogo del cuore è vicino Chia. Per me la Sardegna è il posto più bello al mondo, e ne ho visti parecchi. Se un giorno dovessi andare in pensione mi piacerebbe invecchiare qui».
Ma alla fine essere figli d’arte è un vantaggio o un ostacolo?
«Un vantaggio innegabile. Chiunque dica il contrario non riconosce una cosa evidente: il nome famoso che per altri è il punto di arrivo per me è stato il punto di partenza. Ovvio che come persona ho dovuto fare i conti con questo privilegio, ma mi ha aiutata il pubblico. Quando ti aspetta in camerino vuole dire che il tuo lavoro lo hai fatto. Sono arrivata a capirlo dopo anni».
Per chiudere: dei film di sua madre il suo preferito?
«Tanti, ma quando becco “Io la conoscevo bene” non riesco a non guardarlo fino alla fine».
E la canzone di suo padre?
«Anche qui tante. Non dico quelle scontate, ma una piccola, “Il fantasma blu”, quasi una ninna nanna che amo moltissimo e che cantavo anche ai miei figli».