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Cultura

Matteo Porru: «Scrivo per farmi domande ma la mia passione è volare»

di Paolo Ardovino
Matteo Porru: «Scrivo per farmi domande ma la mia passione è volare»

Da oggi in libreria il nuovo romanzo del giovane scrittore

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Uno lo sente parlare forbito, lo vede gesticolare, mettersi in pose da intellettuale, sedere in talk televisivi, e in automatico gli attribuisce molti più anni di quelli che ha. Verrebbe da fare lo stesso a guardare i titoli già pubblicati.

Per spiegare “Il volo sopra l’oceano” (Garzanti), il suo ultimo romanzo in uscita proprio oggi, Matteo Porru tira fuori invece tutto l’arsenale che un ventenne ha: e quindi solo l’incertezza. L’incertezza di quando vengono meno i tasselli fondamentali come la routine tra i banchi di scuola, due genitori che stanno insieme, e di fronte si apre un burrone sulle strade da intraprendere. Anzi un oceano, appunto. Porru non l’ha navigato a bracciate, ha preso un aeroplano per vederlo dall’alto («la scrittura? In realtà vorrei fare il pilota»).

Quanto tempo fa e in quale momento della sua vita è nato il romanzo?

«In pieno covid, con tre circostanze concomitanti: lo studio per il brevetto di volo, la maturità e la separazione dei miei. Il mio ultimo giorno di scuola è stato il 9 marzo 2020. Ma ho vissuto la dad con tranquillità, l’avevo sperimentata negli anni in cui dagli ospedali seguivo così le lezioni. Alle superiori, la mia media più bassa era di 9.45 (ride, ndr), volevo a tutti i costi il 100 e lode e ho studiato chiudendomi in camera con libri e computer».

E la scintilla?

«In quei pochi momenti di svago ascoltavo pezzi comici su internet, e ho trovato gli sketch del ventriloquo Andrea Fratellini. Ho scoperto la storia di un pilota Meridiana reinventato ventriloquo dopo la cassa integrazione: wow».

Sui social condivide spesso le sue sessioni di volo tra i cieli dell’isola e non solo.

«Sì, la scrittura per me è l’eterno secondo sogno. Potessi scegliere, farei il pilota senza pensarci. Mi dà sensazione di pienezza, libertà, passione. Mentre la scrittura è scavare dentro, è doloroso, significa conoscere e conoscersi. Volando, trovo la bellezza e le risposte alle domande che mi faccio scrivendo. Due facce della stessa medaglia».

E invece la separazione dei suoi genitori come ha influito?

«Si separano i miei e guardo casa, che ha sempre avuto una geometria fissa: so mappare i movimenti che mio padre e mia madre facevano la mattina e la sera. Cosa succede quando quei simboli vengono meno? Cambia tutto. Per esempio, mio padre che è un tabagista incallito lasciava le pipe nel montapipe. E a un certo punto iniziavo a vederle ferme lì, a prendere polvere. C’era quello, le superiori, lasciavo andare anni belli».

Coincide con il lasciare andare le certezze avute fino a quel momento.

«Sì, ragionando trovo un leitmotiv: sono stato innamorato nove anni della mia compagna di banco, Eleonora, e sempre in quel periodo realizzavo che avrei perso la ritualità del vederla ogni giorno. Insomma, una crisi totale».

La chiave di volta?

«Una storia che facesse rivivere le pipe di papà, che avesse i contorni di un ventriloquo, che avesse la certezza che l’amore delle persone non svanisce».

Spostiamoci da un piano personale alla visione del mondo. In questo periodo sentiamo molto più spesso pareri di politici, economisti, tecnici. Com’è il mondo per un giovane scrittore?

«Per me resta un gran bel posto dove stare. La penso come Leibniz. Questo non significa che non esistano lati tremendi. La mia condizione è da uomo di sinistra cresciuto in una famiglia di destra. Per me è difficile inquadrare una situazione, anche politica, con una sola fotografia».

E com’è composta la società di oggi?

«Viviamo in una società molto più della narrazione che dell’azione. Sembra più importante diffondere l’azione che l’azione stessa. L’opinione vale più della realtà. Ci basta constatare certe situazioni, e il commento quasi sempre non è un punto di osservazione ma solo di critica».

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