Di madre in figlia: frisjioli leti e acciuleddi, un’arte antica
Maria Gavina Bianco è titolare del laboratorio Zia Maria a San Pantaleo. È una purista delle ricette tradizionali che porta avanti con passione: «Strumenti e ingredienti sono cambiati ma non i sapori che sono quelli di un tempo»
Addolciscono da sempre il fine pasto e le merende delle famiglie di tutta la Gallura non appena si spegne il fuoco di Sant’Antonio. E così, mentre i coriandoli, lanciati a manciate per le vie di paesi e città, colorano le strade, i dolci tipici di lu carrasciali riempiono prima le padelle, poi le dispense e, infine, le pance dei galluresi. Anche di quelli che il carnevale non lo amano. Frisjioli longhi e acciuleddi fanno da sempre parte della storia dolciaria della Gallura e non c’è casa in cui ogni anno non si rinnovi la tradizione. New entry degli ultimi decenni sono invece i fatti fritti o frati fritti, ciambelle non originarie di queste parti, ma che ormai sono tra i dolci più richiesti. Al loro centro, oltre al buco, c’è una diatriba linguistica.
A San Pantaleo è uso comune chiamarli fatti fritti, come racconta Maria Gavina Bianco, cuoca da una vita, pasticcera e specialista nella produzione di pasta fresca nel laboratorio “Zia Maria” del piccolo paese, dove lavora su commissione. Oltre agli ingredienti di qualità, il richiamo alla tradizione, lo sguardo alla modernità, i suoi segreti risiedono nella manualità e nella volontà di aggiornarsi sempre. È una purista, Maria Gavina Bianco e conosce la cucina gallurese come le sue tasche. «Cucino da quando sono nata – racconta – quando ero piccola mettevo lo sgabello per arrivare al piano di lavoro e mi mettevo all’opera». Quelle che propone nel suo laboratorio sono ricette della tradizione, della madre e della nonna, della suocera, che una volta venivano fatte “a occhio”, ma che zia Maria annotava sul suo quaderno. Un quaderno dove sono riportati sia piatti salati, come la zuppa gallurese – «che in realtà si chiamava “zuppa cuata”, “nascosta”», spiega – che dolci, appunto. «Io mi sono sempre rifatta a quelle ricette – spiega – ma nella pasticceria moderna ci vuole precisione e non si può più fare a occhio. Sono anche cambiati gli ingredienti e gli strumenti di lavoro». Proprio come nel caso dei frisjioli longhi.
«Mia madre – racconta – li chiamava anche frisjioli leti, “lievitati”, per la presenza del lievito. Una volta si usava quello madre, mentre adesso è più comune quello di birra». L’impasto si prepara con farina, uova, latte, scorza di limone, di arancia e acquavite. A quanto pare, anche sull’alcolico c’è una disputa: qualcuno usa la sambuca, qualcuno la grappa, qualcun altro l’anice. «Per dare quella forma si usa un imbuto particolare, con il manico lungo. Io ormai utilizzo la sac à poche, più comoda per le grandi quantità». Zia Maria Gavina Bianco racconta anche che un tempo, queste frittelle non venivano tuffate nell’olio di semi, bensì nello strutto, perché era il grasso più comune. Una volta fritti, li frisjioli sono poi pronti per essere ripassati nello zucchero semolato. Stesso discorso per i fatti fritti, il cui nome in realtà sarebbe “frati fritti”, perché il buco al centro ricorderebbe la chierica dei frati, mentre il segno che indica il livello dell’olio in cottura il cordone del saio. «Anche in questo caso, si usa farina, uova, lievito, burro o strutto e latte. Si impasta, si fa lievitare e poi si fanno le porzioni, che devono lievitare nuovamente. Olio di semi e via in padella per la frittura». Il risultato è una ciambella alta e soffice che viene spolverata di zucchero semolato e che fa dimenticare ogni diverbio. Gli altri grandi protagonisti di lu carrasciali sono gli acciuleddi, treccine dolci di pasta fritta. «In questo caso il lievito non c’è – spiega Maria Gavina Bianco – e gli ingredienti sono farina, zucchero, strutto e scorza di limone. Con l’impasto si formano dei cilindri che vengono poi intrecciati, fritti e ripassati nel miele bollente, dove spesso si mettono scorze d’arancia. Con gli scarti della pasta – conclude Maria Gavina Bianco – si possono poi fare dei rombi, simili alle chiacchiere». Infine, per chiudere il cerchio, gli acciuleddi si cospargono con tanti zuccherini dolci e colorati, allegri come i coriandoli.