La Nuova Sardegna

L’intervista

Corrado Tedeschi: «Riempio i teatri da quarant’anni ma le serie tv le fanno recitare ad altri»

di Alessandro Pirina
Corrado Tedeschi: «Riempio i teatri da quarant’anni ma le serie tv le fanno recitare ad altri»

L’attore e conduttore si racconta: «Vinsi un concorso Rai ma a Viale Mazzini mi lasciarono fermo. Fu Berlusconi a volermi a Canale 5»

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La grande popolarità gliela ha data la televisione. Negli anni Ottanta era uno dei volti dell’emergente Canale 5 che infrangeva il monopolio Rai. Ma il suo palcoscenico naturale è il teatro, dove da 40 anni porta la sua professionalità e la sua ironia riempendo le sale da nord a sud. Attualmente Corrado Tedeschi è in tournée con “Plaza suite”, al fianco di Debora Caprioglio, che l’anno prossimo farà tappa anche in Sardegna.

Tedeschi, qual era il suo sogno da bambino?
«Era quello che faccio adesso: fare l’attore di teatro è stato sempre il mio sogno. Ho studiato per riuscirci...».

Nel frattempo, però, giocava a calcio, arrivando fino alle giovanili della Sampdoria.
«Una grande passione andata avanti per anni, poi continuata anche con la Nazionale degli attori. Ho lasciato per alcuni infortuni, ma soprattutto non avevo la testa per fare il calciatore ed ero già indirizzato verso quello che faccio».

Nella sua vita ha sempre tifato Sampdoria?
«La seguo sempre come uno dei tifosi numero uno. È una squadra con un sacco di problemi che ci portiamo dietro ancora adesso».

I suoi idoli blucerchiati?
«Tanti. Mi viene da dire sicuramente Gianluca Vialli per tutto quello che ha rappresentato e Roberto Mancini, le nostre punte di diamante».

Lei studia da attore, ma sarà la radio il suo trampolino.
«Avevo fatto la scuola del Teatro Stabile di Genova, ma poi è partito il momento della radio. Radio Genova Sound: un’avventura meravigliosa. È lì che ho iniziato a sperimentare e a divertirmi. La radio è veramente stupenda, soprattutto di notte».

Dalla radio alla tv: arriva in Rai grazie a un concorso vinto insieme a Piero Chiambretti e Alessandro Cecchi Paone.
«È nato tutto per caso. La mia ex moglie lesse di questo concorso, “Un volto nuovo per gli anni ’80”. Le dissi: “Lascia stare, tanto sono tutti raccomandati”. Lei invece si intestardì e mandò tutto il materiale. Fui chiamato a fare il provino ed ebbe grande successo. Era una commissione di gente veramente in gamba che sapeva il mestiere al contrario di quanto accade oggi».

A Mediaset entra da concorrente a “M’ama non m’ama” di Marco Predolin.
«Quello fu un caso, non legato alla mia venuta a Mediaset, dove sono stato chiamato perché si era sparsa la voce che, pur avendo avuto il concorso esito positivo, in Rai non lavoravo...».

Il motivo?
«Per tutti i meccanismi che ci sono anche adesso. Dall’altra parte, invece, erano molto più snelli. Mi chiamò proprio Silvio Berlusconi che mi fece fare tre provini. Tra questi c’era “Doppio slalom”. E lì è iniziata una avventura meravigliosa: 5 anni, 1500 puntate, domande intelligenti preparate da Davide Tortorella. I ragazzi che giocavano erano preparati, più di oggi...».

Ebbe come concorrente anche un 15enne Matteo Salvini.
«In mezzo a migliaia di concorrenti naturalmente non me lo ricordavo. È stato Vespa a tirarlo fuori per contrapporlo a Matteo Renzi che andò alla Ruota della fortuna di Mike».

Com’era la tv di allora?
«C’era la consapevolezza di fare qualcosa di pionieristico. Era una avventura alternativa alla Rai, eravamo partiti dal niente. Mi ricordo il palinsesto: giochi dalla mattina alla sera che coprivano tutte le età. C’era di tutto: era una tv fatta per il pubblico».

Era la Canale 5 di Mike, Corrado, Sandra e Raimondo.
«Era tutto meraviglioso. Ognuno aveva la sua personalità. Erano dei giganti. Avevo grande ammirazione per Mike, Corrado, Vianello. Erano tutti vicini di studio: andavo a osservarli per imparare. Nella tv di oggi si sente la loro mancanza».

È stato anche inviato di Raffaella Carrà nella sua breve avventura berlusconiana.
«Una grandissima. Quando stai al fianco a questi artisti ti basta guardarli per imparare e capisci perché sono dei miti».

Perché a un certo punto la sua esperienza a Canale 5 ha subito una battuta d’arresto?
«Dopo “Doppio slalom” ho fatto tantissime cose: il Gioco delle coppie, Sabato al circo. Poi, conoscendo bene la materia, sono andato allo sport di Italia 1: con Maurizio Mosca mi sono divertito come un pazzo. Ma io sono molto più simpatico al pubblico che ai dirigenti. Ragione per cui altri sono andati avanti e io sono andato via».

È ripartito dalla Rai, ma nel frattempo il teatro aveva preso il sopravvento…
«Facevo ancora il Gioco delle coppie quando ricominciai a fare teatro: “Tre uomini e una culla”. Un successo straordinario e da lì è ripartita la mia carriera. E dopo 40 anni posso dire di avere fatto tra 60 e 70 spettacoli».

Cosa è per lei il teatro?
«È la mia vita, non potrei fare altro. Nonostante non sia più un ragazzino sul palco dimostro 30 anni in meno: è terapeutico. Sono anche fortunato perché vedo sempre i teatri pieni. Avendo fatto programmi per giovani, molti non più giovanissimi vengono a vedermi a teatro. Ho una popolarità trasversale di cui ringrazio la tv. Il teatro è per professionisti, la tv di oggi- vedo programmi agghiaccianti - è per dilettanti».

In tv è tornato come attore con Vianello e Mondaini, Manfredi, Proietti, fino a Don Matteo, Un posto al sole e Il paradiso delle signore. Le manca una serie da protagonista.
«Anche lì i meccanismi sono molto misteriosi. A teatro sono protagonista da 40 anni, ma in platea non ho mai visto un regista o un produttore di fiction. Gli attori sono quelli che stanno a teatro, ma fanno recitare altri e spesso la qualità delle serie è indecente».

Rimpianto per qualche no?
«No. Non sono uno che si è mai fermato nei corridoi per fare pubbliche relazioni. E infatti continuo ad avere un grande amore da parte del pubblico, ma non dei dirigenti».

E il cinema?
«Ci siamo ignorati a vicenda. Ma diciamo la verità: in Italia sono sempre gli stessi 6 o 7 attori, un cerchio magico. Non so come faccia la gente a vedere sempre le stesse facce».

Per cosa tornerebbe in tv?
«Bella domanda... Un bel programma di sport sul calcio. Ma trattato con ironia, come lo facevo ai tempi di Mosca. Oggi sento giornalisti che parlano di calcio come se fosse fisica nucleare: è un gioco, ricordiamocelo».
 

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