Confermata la condanna a 6 anni alla donna che uccise il marito nel sonno
La coppia varesina era in vacanza ad Alghero nel 2014: lei accoltellò il coniuge nel sonno dopo aver subìto angherie per anni
ROMA. Confermata dalla Cassazione la condanna con rito abbreviato per omicidio volontario a sei anni, due mesi e venti giorni di reclusione per Roberta Gasperini, la donna che - dopo anni di violenze di tutti i tipi - uccise a coltellate il marito Pietro Girardi, il dieci settembre 2014 nella campagna di Alghero, dove la coppia residente nel varesotto passava l'estate in una casa in affitto.
Dalle indagini era emerso che la donna «aveva subito per lungo tempo violenze fisiche e psicologiche, privazioni, sopraffazioni, percosse, ingiurie, minacce di morte oltre che punizioni corporali» e «costrizione a rapporti sessuali videoripresi con soggetti estranei». Il menage familiare era diventato un incubo nel quale Roberta era sottoposta «a un controllo violento ed asfissiante da parte della vittima per ogni aspetto della vita quotidiana, ad ogni genere di umiliazioni sia pubbliche che private, sino ad essere ridotta in uno stato di tale sudditanza psicologica da non poter pensare ad una separazione per il timore di ritorsioni contro di lei o contro sua figlia».
Il marito arrivò anche a cospargerla di benzina e appiccarle fuoco agli organi genitali. Il giorno dell'omicidio, Roberta disse ai carabinieri che si era decisa a ucciderlo perchè il marito le aveva detto che al risveglio dal 'sonnellino' pomeridiano l'avrebbe bruciata. In primo grado il Gup di Sassari, nel 2016, la condannò a sette anni per omicidio aggravato. Il giudice respinse la tesi della legittima difesa: poteva «fuggire indisturbata». Il Gup escludeva poi l'eccesso colposo di legittima difesa «poichè la situazione non poteva classificarsi come di pericolo incombente», escludeva la circostanza aggravante della premeditazione.
Il Gup attribuiva la circostanza aggravante della minorata difesa per aver ucciso il marito mentre dormiva, ma contestualmente riconosceva in favore della donna «la circostanza attenuante della provocazione per accumulo, determinata dal comportamento lungamente prevaricatore della vittima». Infine il Gup le concesse le attenuanti generiche, e stabilì che le circostanze attenuanti della provocazione avessero la meglio sulla circostanza aggravante della minorata difesa.
Davanti alla Corte di Appello di Cagliari, la difesa di Roberta, chiese la legittima difesa, e il ricalcolo delle circostanze, invocando l'applicazione della attenuante di aver agito per motivi di elevato valore morale. Ma, con la sentenza del 15 maggio 2017, ottenne solo la diminuzione di pena massima per le circostanze attenuanti generiche e la condanna scese a sei anni, due mesi e venti giorni.
Ad avviso della Cassazione (sentenza 48291), correttamente «è stato escluso che il ricorso ad una brutale violenza fisica, in assenza dei presupposti di una legittima difesa, possa considerarsi come una risposta adeguata alla violenza endofamiliare, pena il legittimarsi di una giustizia privata che l'ordinamento riconosce entro limiti strettissimi: l'omicidio era stato efferato e uno stato d'animo turbato non poteva ritenersi equivalente ad un motivo di elevato valore morale e sociale».