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Tutela ambientale

Un ecomostro nel capannone Locci: blitz dei carabinieri del Noe

di Luciano Piras
Un ecomostro nel capannone Locci: blitz dei carabinieri del Noe

Macomer, sigilli alla mega discarica abusiva: cosa hanno trovato i militari

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Macomer Un capannone trasformato in una mega discarica abusiva. Pericolosa. Davvero pericolosa. Un pezzo di storia economica diventato un ecomostro. C’è voluto un blitz dei carabinieri del Noe di Sassari per disinnescare questa bomba ad orologeria, in via Ugo La Malfa, periferia ovest di Macomer, tra via Gramsci e viale del Lavoro. I militari dell’Arma del Nucleo operativo ecologico guidati dal luogotenente Gavino Di Maggio sono dovuti intervenire, ieri mattina, con tanto di caschi e protezioni varie.

Nell’ex concessionaria Locci hanno così trovato di tutto e di più. In totale abbandono da due decenni, oggi di proprietà di una società con sede legale a Bari, il capannone è stato uno dei simboli degli anni d’oro di Macomer e non soltanto. È qui, in questo mega prefabbricato che Franco Locci, concessionario Fiat e pilota automobilistico, pioniere del commercio delle auto, tra saloni e officine meccaniche, ha vissuto la grande epopea del Marghine. Nata nel 1927, la società Locci è arrivata a contare una sessantina di dipendenti. Il dramma che ha colpito la famiglia è scoccato con il sequestro del piccolo Luca Locci. Era il 24 giugno 1978 quando il figlio di Franco, sette anni appena, finì nelle mani dell’Anonima sarda. La prigionia di Luca durò tre mesi, trascorsi quasi tutti all’interno di una capanna, legato e incappucciato. Il calvario del bambino si concluse il 25 settembre nelle campagne di Lula dopo il pagamento di un riscatto di 300 milioni di lire.

Da quel momento, non c’è più stata pace per l’impresa economica. Dopo tanti scricchiolìi, avvisaglie varie, la chiusura definitiva è arrivata nel 2012. Ora: a 23 anni dal fallimento, il capannone dell’ex concessionaria, nel frattempo passato di mano, è diventato un cumulo di mondezza. Una bomba ecologica alle porte di Macomer. Sigillato e sequestrato, all’interno dell’immobile i carabinieri del Noe hanno trovato circa duemila metri cubi di rifiuti. Rifiuti di tutti i generi, soprattutto rifiuti speciali e nocivi. Oli minerali esausti conservati in fusti e addirittura in cisterne aperte e completamente allagate. Pericolosissime per chi malauguratamente ci avesse fatto ingresso per caso.

Amianto proveniente dal tetto crollato nel corso degli anni. Un cumulo impressionante di carta e cartone. Anche buste di spazzatura “comune”. Batterie esaurite, plastica di vario genere. Cataste di pneumatici fuori uso. Carcasse di auto abbandonate. Persino due autovetture incendiate. Per non parlare delle tonnellate di guano lasciato dai piccioni che hanno trovato facile rifugio nel capannone dimenticato da tutti, salvo da qualche ignaro graffitaro e qualche disperato alla ricerca di un bivacco dell’ultima ora. Con i solai pericolanti, per giunta, il capannone rischiava di trasformarsi in una trappola mortale. Evidente che in questi ultimissimi anni c’è chi ha approfittato della situazione per scaricare mondezza senza alcuna autorizzazione. I carabinieri al comando di Di Maggio hanno subito trasmesso gli atti alla procura del tribunale di Oristano e ai vari uffici amministrativi competenti per la messa in sicurezza e il ripristino del luogo. Intanto procedono nei confronti di ignoti, in attesa di individuare eventuali responsabilità.

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