La Nuova Sardegna

Olbia

Il passato

Olbia, viaggio nel cimitero di via Roma: la città vecchia rivive tra lapidi e croci

di Dario Budroni

	La tomba di Nicolò Barca e una delle lapidi dei marinai inglesi (foto di Vanna Sanna)
La tomba di Nicolò Barca e una delle lapidi dei marinai inglesi (foto di Vanna Sanna)

Dal commerciante con la moneta ai fratelli morti sotto le bombe americane: nel camposanto le storie degli olbiesi di una volta

28 ottobre 2024
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Olbia. L’ultima volta che vide la luce del sole fu nel cuore del golfo olbiese. Poco prima che il mare restituisse il suo corpo senza vita alle braccia sconosciute di un borgo ancora mezzo sgangherato. «Voi o buoni cittadini di Terranova in mezzo ai quali morì, abbiate per lui una prece e un affettuoso pensiero» si raccomandarono allora, sulla superficie di una lapide, la moglie, la madre e le sorelle di Lorenzo Giannoni, il capitano nato nel 1868 sull’ Isola d’Elba e morto nel marzo del 1908 nel naufragio del bastimento Simpatia. Nella Spoon River della vecchia Terranova, insomma, c’è posto anche per lui. E naturalmente per tanti altri ancora. Ci sono il commerciante con l’Obolo di Caronte in una mano, i proprietari terrieri, i fratelli morti sotto le bombe americane, gli antifascisti perseguitati dal regime e il soldato colpito a morte sulle gelide montagne di Cortina. Tutti insieme in un fazzoletto di terra che, tra lapidi, croci e foto in bianco e nero, racconta la storia di una città morta e sepolta ma in qualche modo ancora oggi presente. È nel cimitero di via Roma – e in particolare nel nucleo più antico – che si rincorrono così le storie e i ricordi di uomini e donne che hanno lasciato il segno nella vita della città o che hanno semplicemente vissuto. Storie a volte talmente lontane e dimenticate da non avere più neanche il conforto di un solo fiore appassito.

L’altra città. La terra in fondo a via Roma cominciò a essere trasformata in un camposanto verso la fine dell’ Ottocento, quando l’antico cimitero di San Simplicio era ormai colmo. Ed è curioso notare come la città dei morti porti in qualche modo con sé i tratti di quella dei vivi. Un esempio: la cappella della famiglia Tamponi. È la più grande e la più elegante di tutto il cimitero, così come la storica villa di famiglia, di fronte al porto vecchio, è ancora oggi la più bella e ammirata della città. Una tomba, quella dei Tamponi, tirata su al culmine di quello che era il vialetto più importante e su cui si affacciano alcune delle famiglie più influenti di una volta, dagli Amucano ai Maciocco. Ed è da queste parti che riposano anche due giovani fratelli: Giovanni Maria e Mario Deiana, morti durante il bombardamento del 14 maggio 1943. Accanto, in una piccola mattonella, il ricordo di altri due Deiana, stavolta padre e figlio: Giovanni e Salvatore, morti nel 1928 vicino Tavolara nel naufragio del peschereccio San Silverio. E a proposito di Novecento – in un brulicare di cognomi autoctoni come Deiana, Derosas, Degortes, Spano, Putzu, Pintus, Giua, Lupacciolu e altri ancora – è nei primi decenni del secolo che cominciarono a comparire le prime tombe delle famiglie sbarcate a Terranova perché attratte dal mare e dai nuovi commerci. Dai Piro ai Colonna, dai De Michele ai Bigi, passando poi per i Mignogna, i Monaco e i Giagnoni, quest’ultima la famiglia del calciatore e allenatore di serie A Gustavo.

Obolo di Caronte. Una delle tombe più ammirate di tutte è quella di Nicolò Barca, un grossista di generi alimentari nato nel 1843 che in città fece costruire due edifici ancora in piedi: quello che ospita l’Officina del gusto, in piazza Matteotti, e la palazzina di via Regina Elena che, tra le altre cose, fu una caserma dei carabinieri. La particolarità del monumento funebre è la moneta che Barca stringe in una mano: l’ Obolo di Caronte, un tributo per il traghettatore delle anime. Poco lontano c’è invece quella della famiglia Campesi. Una vera e propria opera d’arte che porta la firma di Giuseppe Sartorio, il più grande scultore di tombe in Sardegna. È a due passi dalla più piccola lapide del carabiniere Antonio Fioredda, morto nel 1948 a Orune in un conflitto a fuoco con i banditi. Sobria la tomba dello storico sindaco socialista Alessandro Nanni. Invece Achille Bardanzellu, medico e anche lui antifascista, riposa in una elegante cappella di famiglia.

Soldati e marinai. Lunga la lista dei soldati. Per esempio c’è Luigi Giorgini, che fu sergente garibaldino negli anni 1866, 1867 e 1870 e infine tenente genio durante la grande guerra. Poi Catello Piro: giocatore dell’Olbia e aviatore morto in guerra nel 1943. La sua tomba in realtà è vuota perché il corpo non fu mai ritrovato. Giovanni Spano, invece, era un maresciallo dell’esercito e morì nel 1939 per «la conquista dell’impero». E resiste anche la tomba di Leonardo De Filippi, 22 anni, morto nel 1915 nelle trincee del Lagazuoi, in Veneto. A lui è dedicata una delle vie più importanti del centro. Per terra, vicino alla lapide dello studioso di Dionigi Panedda, ci sono i resti delle tombe dei marinai inglesi Arthur Pringle e John Searle Davey. Morirono nel 1902 per un incidente davanti a Capo Figari. Morì anche Robert Henry Bowie, ma di lui non resta più neanche una scheggia di marmo.

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