La Nuova Sardegna

Perché le donne non votano le donne

di Eugenia Tognotti
Perché le donne non votano le donne

Un saggio di Noemi Sanna cerca di indagare su un fenomeno apparentemente paradossale

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Che in Italia la questione della (mancata) democrazia paritaria sia il prodotto di un retaggio storico- culturale, che, tradizionalmente, tende a escludere le donne e assegna agli uomini i ruoli apicali del potere, può apparire così scontato da non aver bisogno di analisi approfondite e di un approccio scientifico.

Questo libro di Noemi Sanna, “Dieci morivi per cui le donne accettano di essere dominate dagli uomini”( Editore. Albatros, pp. 154, 2012).

dimostra invece quanto possa essere importante, al di là degli slogan, un approfondimento rigoroso. Così da comprendere in che modo è stato costruito quel potente sistema di pregiudizi e diffidenze all'origine del divario che caratterizza il nostro paese in tema di rappresentanza. Portando alla luce le ragioni più profonde, psicologiche e sociali, che vi hanno avuto una parte.

Medico psichiatra e docente all'Università di Sassari, l'autrice - che ha anche un bagaglio di esperienza personale come ex consigliere regionale - usa al meglio i "ferri del mestiere" per affrontare uno dei nodi più complessi e discussi: il perché le donne non votano le donne. A parole, non sembrano esservi pregiudizi contro le donne in politica.

Nei fatti non è così. Cresciute con stereotipi culturali e modelli maschili in certi ruoli, faticano a liberarsene. Una situazione riconducibile a un retaggio storico-culturale che sembra legittimare lo sbilanciamento nella distribuzione del potere tra uomini e donne.

In quasi tutti i Paesi dove esistono democrazie a suffragio universale, il numero delle elettrici supera quello degli elettori. Teoricamente, dunque, se le donne votassero per le donne l'equilibrio della rappresentanza sarebbe assicurato. Invece, pressoché in ogni elezione - che si tratti di elezioni politiche, regionali, provinciali e comunali, fino al presidente dell'assemblea condominiale - la maggioranza delle donne sceglie di far confluire i propri suffragi su un uomo, cui riconoscono capacità e attitudini nell'esercizio del potere.

Un fenomeno, questo, che Noemi Sanna analizza , assumendo, come quadro di riferimento, gli schemi comportamentali primitivi degli animali e il ruolo del “capobranco, maschio, dominante, scaltro, predatore e riproduttore sessuale".

Il voto femminile è una conquista recente in molti Paesi occidentali di antica democrazia, compresa la Francia.

E' stato concesso in molti Stati soltanto dopo la seconda guerra mondiale. In molti cantoni della Svizzera addirittura pochi decenni fa, nel 1971.

Eppure, in Europa e altrove, soltanto una piccola e discontinua, minoranza di attiviste (come le suffragette inglesi tra Otto e Novecento) ha rivendicato il diritto di voto, nell'indifferenza della maggioranza delle donne, che invece lottavano in prima fila, accanto agli uomini, per ottenere le 'otto ore' e aumenti di salario.

I canti di lotta, - come quello , celebre, delle mondine, ' sciur padrun da li bèli braghi bianchi' - sollecitano paghe giuste ( più 'palanche') , non il suffragio universale e il voto alle donne.

Come se non lo considerassero un diritto sacrosanto o, vedendolo, non riuscissero neppure a immaginarsi un protagonismo femminile in politica.

La barriera con cui le donne italiane si scontrano quando cercano di avvicinarsi alla politica attiva, è forte, fortissima. E quando si tratta di donne le aspettative si amplificano a dismisura, mentre, si sa, il "credito dato a un uomo', sembra non richiedere troppe garanzie".

Per abbatterla quella barriera, non servono tanto delle leggi riparatrici, pur necessarie. Quello che davvero occorrerebbe fare, per un nuovo ordine ed equilibrio nella ripartizione degli spazi deputati all'esercizio del potere e nella partecipazione politica, è di innescare, dal basso, processi culturali capaci di cambiare le donne stesse, "le quali accettando o adattandosi a un modello di vita scelto per loro da altri'- scrive la Sanna, contribuiscono, di fatto, "a mantenere saldi, più o meno consapevolmente, alcuni tra i più potenti meccanismi discriminatori".

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