Se i numeri non hanno un'anima - L'editoriale
Per i tecnici del governo la Sardegna deve restare arancione per un'altra settimana, anche se i dati nell’isola dimostrano che il covid ha allentato la sua morsa e tutti i parametri sono in discesa
Non è solo una questione di sfumature cromatiche, di un indipendentismo tinto di giallo. La spopolata e disciplinata Sardegna resta arancione per un’altra settimana. Per i tecnici del governo è più infestante e purulenta della Lombardia e del Lazio e di altre 14 regioni di giallo vestite. Anche se i dati nell’isola dimostrano che il covid ha allentato la sua morsa e tutti i parametri sono in discesa.
Anzi per la bibbia degli amanti delle percentuali, l’istituto Gimbe, la Sardegna è la regione che ha fatto registrare il calo più significativo. Terapie intensive che si svuotano, numero di positivi rispetto ai tamponi basso e in ulteriore calo. Il paziente è in ripresa. Dati che ci dovrebbero portare a un giallo pallido. Ma la logica e il buon senso non fanno parte del bagaglio dei burocrati. La Regione la scorsa settimana non ha fornito dati corretti, per questo la Sardegna è diventata arancione, e per i tecnici è impossibile ritornare indietro. I virologi da talk show hanno sentenziato che l’arancione è la pena che si dovrà scontare per un’altra settimana. E poco importa a loro se in quell’insensata presa di posizione ci siano conseguenze drammatiche per migliaia di imprenditori e lavoratori. Bar e ristoranti chiusi non sono una semplice seccatura per chi deve spolverare la moka e la pentola della pasta. Sono una fetta importante di un’economia fragile che rischia di scomparire. La desertificazione del tessuto produttivo sembra essere una variabile senza peso. Due settimane di chiusura, che arrivano dopo il lockdown di Natale diventano l’ultimo miglio da percorrere verso la condanna a morte. Ma l’assenza che pesa di più è quella della politica. Le decisioni sono lasciate nelle mani dei comitati tecnici, degli analisti di tabelle e grafici. L’errore grave della scorsa settimana che ha fatto finire la Sardegna in arancione si poteva correggere in poche ore. Un banale: “Scusate abbiamo sbagliato”, avrebbe consentito a una parte degli imprenditori di lavorare, a una parte dell’economia di respirare in un anno in cui le insegne sono rimaste spente per troppi giorni. Ma il virus della burocrazia ha prevalso. E la politica non ha fatto la politica. Non ha preso l’unica scelta razionale. L’errore fantozziano della scorsa settimana diventa ora colpevole negligenza. Il distacco della politica dal mondo reale è diventato incolmabile. Il Palazzo fluttua in un’altra dimensione. Il governatore Solinas presenterà ricorso mentre scorrono già i titoli di coda. La Regione ha messo a nudo tutta la sua impacciata fragilità davanti a un simile cortocircuito. E Roma si mostra sempre più lontana dalla Sardegna. La pattuglia di parlamentari impegnata con gli alambicchi delle maggioranze nella tempesta chimica della crisi, non si cura dell’emergenza economica che schiaccia l’isola. Forse si renderà conto solo questa estate dello tsunami che ha travolto la Sardegna. Quando oltre alle spiagge bianchissime non troverà più nulla.